Autore: Dott.ssa Emanuela De Bellis

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Qualche tempo fa la mamma di una paziente al Day Hospital del Bambin Gesù, raccontando le difficoltà della figlia (preadolescente), si è espressa con la fatidica frase “…E poi è troppo emotiva!”Quante volte avrò ascoltato quest’espressione, riferita ai propri figli, al proprio partner, se non addirittura a se’ stessi? Anche dopo anni di terapia, a percorso praticamente concluso, sento ancora pazienti preoccupati perché “a volte l’emotività ha la meglio, non riesco a razionalizzare”.
Come se le emozioni fossero qualcosa da sconfiggere, in nome di un pensiero razionale che ci garantisce la felicità; come se la psicoterapia fosse la strada per eliminare la parte emotiva, trasformandoci in creature dotate solo di raziocinio.
Alla base di ogni psicopatologia, dunque, ci sarebbe un’emozione, che ha il sopravvento sulla psiche, o sulla mente, dell’individuo: un grande classico dell’immaginario popolare, il demone che si impossessa di noi se non stiamo più che attenti.

Questa convinzione si estende poi ai sintomi funzionali, ovvero a quelle sintomatologie fisiche connesse con aspetti psichici: irritazione al colon, reflusso, tachicardia… Chi ne soffre racconta spesso che lui “somatizza tutto lì”, e ogni emozione si manifesta in un fenomeno doloroso. La cura, sembrerebbe, sta nel non provare emozioni; ed effettivamente mi è capitato di sentire diverse volte espressioni paradossali come “Non mi far preoccupare, se no mi viene la tachicardia” o “Non ti arrabbiare, che ti sale il reflusso”.
Quindi ogni emozione è da abolire? La gioia, la sorpresa, l’eccitazione non portano al reflusso: come mai il meccanismo scatta solo su determinate emozioni?
La risposta comunemente data si articola su una divisione categoriale delle emozioni: ci sono quelle positive e quelle negative. Lo psicoterapeuta, a questo punto, dovrebbe liberare il paziente dalle emozioni negative? Dovrebbe sconfiggere il demone che spinge la ratio ad avere un colon infiammato? Ci vorrebbe un esorcismo…

Tanto per chiarire: la psicoterapia, a prescindere dall’approccio, non ha questo scopo.
E, sempre per chiarire, le emozioni servono. Tutte. Rappresentano infatti l’adattamento all’ambiente della specie umana. Immaginate una scimmia: le serve la rabbia? E la paura?  Potrebbe sopravvivere senza una di queste emozioni? La distinzione tra emozioni positive ed emozioni negative non ha senso, clinicamente parlando: e anche se il mondo è pieno di articoli e libri divulgativi che ne parlano, promuovendo la confusione degli utenti in merito, è una convinzione che non fa altro che ostacolare il processo terapeutico.
Immaginate la psiche come un meccanismo che collega le emozioni con le azioni, il contesto con le reazioni, il modo di avvertire se’ stessi con la propria identità narrativa: se c’è un “guasto” in questo meccanismo, dall’emozione si arriverà al colon irritato. Ma la causa dell’irritazione non è l’emozione, è il guasto! Ed è sul guasto che può agire la persona, perché è un guasto che le appartiene, che ha il potere di smontare e ricomporre. Ed è ovviamente su questo guasto che lo psicoterapeuta può intervenire, fornendo strumenti per lo smantellamento.

sculacciareHo cominciato l’articolo parlando di una figlia, e vorrei concluderlo riportando il discorso proprio sui figli. Perché se è difficile accettare i propri stati emotivi, è ancora più difficile accettare i loro.
La reattività alle lacrime dei propri figli può diventare altissima, e scatenare una serie di meccanismi per evitare, o prevenire, i loro pianti: dall’evitare comportamenti o situazioni, al tentare di distrarli, alla sdrammatizzazione. A volte, però, questi meccanismi si deformano, impedendo la naturale reazione emotiva dei bambini, o aumentando le loro paure, o portandoli a sentirsi incompresi.
Non abbiate paura delle emozioni dei vostri figli: aiutateli, invece, a dare loro un nome, a riconoscerle e a collegarle con il contesto, con le proprie scelte, con la propria identità.

E voi che rapporto avete con le vostre emozioni? Ci sono emozioni che avete difficoltà a gestire? Avete mai pensato a come spiegarle ai bambini?