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Cinderella Man è ispirato alla storia vera di James Braddock, un pugile dalla carriera alterna. Dopo una serie di importanti vittorie finì nell’ombra per riemergerne nei giorni della Grande Depressione fino a giungere a combattere per il titolo di Campione del Mondo dei pesi massimi contro il temibile (aveva già due morti a suo carico sul ring) Max Baer. Una premessa necessaria: qualora non foste appassionati di boxe e non sapeste come l’incontro ebbe termine evitate di informarvi. Vi potrete godere tutte le fasi del combattimento con le mani sudate e i muscoli contratti. Ma anche qualora sapeste tutto della carriera di James J. Braddock l’emozione non mancherà perché questo film di Ron Howard ha un grande e unico interprete (ai nostri giorni) per un ruolo come questo: Russell Crowe. L’attore australiano offre al suo protagonista non solo una fisicità straordinaria ma anche la vasta gamma di espressioni di cui è capace. Il cinema che ha al centro della sceneggiatura la boxe corre il rischio del ‘già visto’ più di altri. Ron Howard lo affronta con coraggio e riesce a realizzare un film (perdonateci l’ardire) “alla Ford”. Un film cioè in cui non si perde mai di vista la potenza narrativa associata a un tema forte. In questo caso si tratta del ‘non mollare’ in un’epoca della storia americana che ha più di un punto di contatto con quella contemporanea: la Grande Depressione. James J. Braddock ne diviene un simbolo popolare perché non dimentica le proprie origini e conosce la miseria economica. Che non coincide mai con il degrado morale. I suoi valori sono saldi così come salda è la consapevolezza che nel Grande Paese non tutto è davvero ‘grande’. Il sottoscala in cui vive la famiglia di un uomo che ogni giorno deve cercare un lavoro precario è il luogo a cui tornare ogni giorno per fingere magari un’improvvisa inappetenza per dare più cibo ai propri figli. La boxe diventa così, ancora una volta ma con più intensità che in altri casi, un’occasione cinematografica per parlare del riscatto umano per non far dimenticare ciò che fa di un essere umano un ‘uomo’. Si osservi la scena in cui James saluta i figli prima di lasciarli per l’incontro che potrebbe costargli la vita. Dà una carezza ai due più piccoli e la mano al figlio maggiore. Subito anche quello immediatamente più giovane gli tende la propria per affermare la propria ‘crescita’ e assunzione di responsabilità. Potrebbe essere (questa come altre) una scena di un film del passato. Ma non stona, non è retorica, commuove. Perché, fortunatamente, c’è ancora il grande cinema che intrattiene senza far rinunciare a pensare.

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