una traduzione della Dott.ssa Luana Palermo

dell’articolo “Building resilience among black boys” di Tori De Angelis

tratto dal numero di ottobre 2014 della rivista Monitor on  Psychology.

Gli psicologi stanno aiutando i ragazzi di colore a raccogliere i propri punti di forza, fornendo loro delle strategie per riconoscere e rispondere al razzismo.

Tori De Angelis

L’omicidio di Michael Brown, avvenuto in agosto, è stato l’ultimo di una serie di storie che stanno diventando troppo comuni. Brown, un adolescente nero disarmato di 18 anni, è stato fermato da un poliziotto bianco e ucciso con un arma da fuoco nella sua cittadina natale, Ferguson, in Missouri. La tragedia fa eco a situazioni simili, nelle quali la risposta della polizia ha oltrepassato di gran lunga la causa che ha dato inizio all’episodio, comprese le morti per arma da fuoco di altri ragazzi adolescenti di colore, Trayvon Martin e Jordan Davis avvenute nel 2012, ed incluso un caso storico particolarmente raccapricciante, l’orrendo omicidio, commesso nel 1955, di un ragazzo di 14 anni, Emmett Till, il cui crimine dichiarato era quello di avere una relazione con una donna bianca.

La morte di Brown ha suscitato un’intensa reazione pubblica, che si è espressa sia attraverso dimostrazioni e reazioni violente da parte della gente, che attraverso anche una risposta a livello nazionale da parte dei leader afro-americani e della stampa.

In particolare l’episodio ha messo in luce l’ardua battaglia che devono affrontare i ragazzi di colore in questo paese per fronteggiare gli stereotipi negativi, i profili razziali e la discriminazione, una battaglia che troppo spesso sfocia in violenza e persino in morte.

“I ragazzi afro-americani hanno molti fattori stressanti potenziali, anche rispetto alle ragazze afro-americane” afferma Faye Z. Belgrave, professoressa di psicologia alla Virginia Commonwealth University e co-autrice insieme a Josh Brevard del libro che sta per uscire, “African-American Boys” (Letteralmente: “I ragazzi afro-americani”), sunto di una ricerca condotta su questa popolazione. “Questi ragazzi affrontano il razzismo e la discriminazione in misura molto maggiore rispetto a quanto accada ad altri gruppi etnici razziali. I ragazzi afro-americani subiscono ciò in particolar modo quando, nel percorso di crescita, si avvicinano all’adolescenza”.

In questo momento vi sono dei tentativi atti a modificare tale diffusa situazione negativa e offrire ai ragazzi di colore migliori opportunità di successo. A livello nazionale, l’iniziativa del Presidente Obama “”My Brother’s Keeper” (Letteralmente: “Custode di mio fratello”), lanciata a febbraio, sta affrontando direttamente sia la cattiva pubblicità che questi ragazzi possono ricevere, sia le realtà strutturali, sociali ed economiche con cui devono confrontarsi in questo paese. Il programma, che inizialmente ha goduto di un fondo di circa 200 milioni di Dollari da parte di filantropi e fondazioni, è stato ampliato a luglio con un’aggiunta ulteriore di 104 milioni di Dollari in contributi da parte di distretti scolastici, fondazioni, agenzie e corporazioni.

Gli psicologi stanno mettendo in campo i propri interventi nella maniera più utile possibile, esaminando i modi in cui i genitori, la scuola, le comunità, le istituzioni e la società possano riconoscere e promuovere maggiormente i punti di forza naturali di questi giovani. In particolare essi stanno osservando in quale modo alcuni fattori come gli stili d’insegnamento, gli interventi in classe ed il monitoraggio dei genitori, possano essere utilizzati per condurre questi ragazzi verso percorsi di successo e più salutari per loro.

Inoltre gli psicologi stanno lavorando direttamente con i ragazzi stessi per aiutarli a riconoscere il razzismo e sviluppare la loro identità culturale e razziale per combatterlo in maniera efficace (una strategia conosciuta come “racial socialization”).

Il nostro lavoro si basa su un proverbio africano che dice che la storia del leone non sarà mai conosciuta fintanto che a raccontarla sarà il cacciatore”, afferma Howard Stevenson, psicologo sociale alla University of Pennsylvania, il quale insegna agli educatori ad aiutare i ragazzi di colore a rispondere appunto a situazioni pericolose usando creatività ed umor. “Parte del nostro lavoro è aiutare i ragazzi a raccontare la loro storia, invece che seguire il racconto che parla di loro scritto da qualcun altro”.

Una sfida complessa

La ricerca suggerisce che le persone spesso vedono i ragazzi di colore attraverso delle lenti negative e che essi possono subirne le conseguenze.

In uno studio, presentato in un articolo sul numero di febbraio del Journal of Personality and Social Psychology, alcuni psicologi sociali della University of California di Los Angeles, Phillip Atiba Goff e Matthew Jackson, hanno riscontrato che le donne bianche non laureate giudicano tutti i bambini ugualmente innocenti fino all’età di 9 anni, ma che esse considerano poi molto meno innocenti i ragazzi neri a partire dall’età di 10 anni.

In un secondo studio riportato nello stesso articolo, è stato messo in evidenza che gli agenti di polizia percepiscono i ragazzi neri in maniera meno umanizzata rispetto a quanto facciano con i ragazzi bianchi, e che essi sono più propensi di altri agenti ad usare la forza nei loro confronti in occasioni di custodia.

Una questione preoccupante che sta emergendo riguarda un sottogruppo di ragazzi afro-americani, dal 20 al 30%, che inizia a comportarsi in maniera peggiore a livello scolastico rispetto ai ragazzi di altre etnie. Inoltre la ricerca rileva che questa traiettoria discendente poi continua anche nell’età adulta.

“Parte del problema è cercare di capire che cosa succeda lungo il percorso che crea risultati di tale disparità tra i ragazzi” afferma Oscar Barbarin III, professore di psicologia alla Tulane University, che sta raccogliendo e analizzando i dati sullo sviluppo di questi giovani, attraverso un’iniziativa di multi-università che ha organizzato e conduce, the Boys of Color Collaborative.

Un fattore di rilevante importanza è che questi ragazzi spesso provengono da famiglie che non forniscono loro lo stesso sostegno per l’istruzione rispetto ai loro coetanei. Perciò, già in quell’arco di tempo che precede l’inserimento scolastico, essi risultano, rispetto agli altri ragazzi, a un livello meno elevato nelle abilità linguistiche, ritiene Barbarin, il quale ha scritto e pubblicato diversi articoli sui ragazzi di colore in uno speciale dell’American Journal of Orthopsychiatry nel 2013.

Inoltre Barbarin, che offre anche corsi d’aggiornamento e di consultazione e ricerca per Head Start (programma federale che promuove la preparazione scolastica per ragazzi con famiglie a basso reddito), aggiunge che se gli insegnanti ed altri studenti si aspettano che questi ragazzi vadano male a scuola, questa diventa una sorta di profezia che si auto-adempie.

Ulteriori dati mostrano che è di gran lunga più probabile che i giovani di colore, in particolare di sesso maschile, siano sospesi o espulsi dalle scuole rispetto ai loro coetanei bianchi. In alcuni sondaggi del 2012, effettuati su 72.000 scuole in 7.000 distretti scolastici, il Dipartimento dell’Istruzione degli Stati Uniti ha riscontrato che era 3,5 volte più probabile che fossero espulsi o sospesi gli studenti di colore rispetto a quelli bianchi e che i ragazzi neri lo erano 2 volte in più rispetto alle ragazze nere. Sebbene non risulti completamente chiaro il perché esistano tali grandi disparità, i ricercatori individuano come possibili ragioni una sorta di pregiudizio non intenzionale alla base, un accostarsi diseguale agli insegnanti e una differenza anche di stile nella leadership scolastica.

“Non intendo dire che in alcuni casi l’agire di questi ragazzi non debba essere corretto o non gli debba essere data una direzione”, spiega Barbarin, “ma spesso accade che la punizione è più severa di quanto sia necessario”.

La scuola come soluzione

Le ricerche degli psicologi puntano ad incrementare fattori specifici che possano aiutare a cambiare e migliorare le traiettorie dei ragazzi di colore.

Alcuni di questi fattori sono legati all’ambiente scolastico, in particolare uno stile d’insegnamento, che Barbarin chiama “warm demanding” (letteralmente “una calda domanda”), che consiste nel dare risposte a livello emozionale e nello stesso tempo mantenere alte aspettative. E’ una modalità questa che potrebbe avere buone prospettive nel contrastare la tendenza di alcuni insegnanti ad allontanarsi emotivamente dai ragazzi che essi temono possano commettere degli atti negativi. Uno stile più interattivo, egli afferma “in realtà deve basarsi sul presupposto che c’è sempre qualcosa di ‘buono’ in un ragazzo”.

La struttura della classe può essere un altro fattore. In uno studio riportato in un’edizione speciale dell’American Journal of Orthopsychiatry, Barbarin ha trovato un significativo calo tra le valutazioni degli insegnanti dell’asilo e quelle degli insegnanti della scuola materna riguardo la competenza sociale dei ragazzi di colore. Lui ed altri ricercatori ritengono che una ragione possibile di questo possa essere il brusco cambiamento che i ragazzi subiscono da un modello di sviluppo scolastico che consente attività ludiche e gioco, a un modello invece più accademico e più rigido.

Nel frattempo alcune scuole stanno adottando interventi innovativi per migliorare le prestazioni pro-sociali dei ragazzi con problemi comportamentali, uno dei quali, chiamato restorative justice (Letteralmente: giustizia riparativa), è un tipo di intervento che si sta diffondendo sia a livello educativo, che in ambito criminale, che anche in altri contesti. In sostanza si ristruttura la disciplina in modo tale da aiutare chi ha commesso l’atto criminoso a fare ammenda e riconciliarsi con la comunità, piuttosto che punirlo o punirla. Questo programma include il seguire una serie di pratiche specifiche, come ad esempio far parlare direttamente sia la vittima che il carnefice riguardo le azioni che possono aver arrecato danno, e dare anche la possibilità al colpevole di riparare il torto. Una volta che questo giovane ha concluso il programma, viene nuovamente integrato all’interno del gruppo.

La ricerca suggerisce che questi tipi di approcci vengano adottati, considerato il fatto che, dopo un anno di applicazione dell’intervento di giustizia riparativa alla Cole Middle School di Oakland, in California, i tassi di sospensione sono scesi del 89%, ed altresì un programma di disciplina scolastica di riparazione lanciato nel 2011 alla Cole Middle School di Oakland, in California, ha ridotto della metà in un anno i tassi di sospensione, secondo quanto riportato da una ricerca online progettata dal consiglio pubblico, la FixSchoolDiscipline.org (ovvero un progetto legge dedicato appunto ai diritti dell’istruzione in California).

Genitori come soluzioni

Anche i genitori possono giocare un ruolo molto importante nello sviluppo comportamentale ed accademico dei ragazzi. Belgrave sottolinea come la ricerca mostri che una modalità di intervento che può coinvolgere i genitori è il monitoraggio del comportamento dei loro figli in contesti con i coetanei e dopo la scuola.

“Se tu sai dove sono i tuoi ragazzi, con chi sono e che cosa stanno facendo, sei tu che conduci il gioco”, lei afferma.

In uno studio i ricercatori hanno riscontrato che i ragazzi di colore che rifiutano o non fanno uso di droghe è più probabile che abbiano genitori che esprimono atteggiamenti avversi e di biasimo verso l’uso delle stesse e che tengono monitorati i comportamenti dei figli, rispetto ai ragazzi che invece ne fanno uso (Journal of Black Psychology, 2012 ).

Un altro studio sottolinea che a favorire il benessere emotivo dei ragazzi di colore assume una sostanziale importanza la comunicazione genitore-figlio.

In una ricerca apparsa sul Journal of Child and Family Studies nel 2012, i ricercatori hanno evidenziato che era più probabile che i ragazzi americani fossero depressi nel momento in cui sentivano che i loro genitori non comprendevano l’entità reale dei loro problemi emotivi e comportamentali. Ciò includeva quindi sia ragazzi che riferivano di avere molti problemi ma i cui genitori ne percepivano soltanto alcuni, sia ragazzi che al contrario riferivano di avere pochi problemi mentre i loro genitori ritenevano che ne avessero molti.

“Se al ragazzo succede qualcosa, questo tipo di genitori non sa come intervenire, dal momento che non sa assolutamente quale sia il problema”, afferma l’autrice dello studio Alfiee M. Breland-Noble, che dirige l’African-American Knowledge Optimized for Mindfully-Healthy Adolescents Project alla Georgetown University. 

Inoltre lei aggiunge che i genitori possono essere assenti per diversi motivi, compreso il fatto di essere troppo logorati dai propri problemi, che possono consistere nel non riconoscere i loro stessi problemi di salute mentale, l’essere preoccupati per il lavoro o addirittura l’essere anch’essi indeboliti dal dover affrontare razzismo e discriminazione.

Le comunità come soluzioni

Quando Breland-Noble iniziò a studiare la consapevolezza riguardo la salute mentale all’interno delle chiese dei neri, osservò che sui ragazzi di colore poteva essere esercitata una buona influenza in diversi modi. Molti avevano dei buoni modelli di ruolo, erano rispettati e valorizzati dalle loro comunità e assumevano ruoli di leadership, come ad esempio fare i solisti nel coro oppure aiutare a gestire i servizi all’interno della chiesa.

“Questo aiuta i ragazzi di colore a sentire che le persone che li guardano sono persone come loro”, lei conclude.

In un articolo di aprile sull’Applied Developmental Science, un team guidato da Joanna L. Williams, docente alla University of Virginia, ha esaminato come la comunità e l’elaborazione di alcuni programmi possano essere utili per determinare un’identità etnica positiva e un positivo sviluppo giovanile. In un campione di 254 soggetti adolescenti maschi a basso reddito, tra cittadini latini e di colore, il team ha riscontrato che i ragazzi che ottenevano punteggi più alti riguardo a uno sviluppo giovanile positivo erano coloro che apparivano maggiormente propensi ad essere coinvolti in attività pro-sociali (come ad esempio fare parte di clubs o assumere ruoli di amministrazione nella scuola) ed era meno probabile che fossero coinvolti in attività criminali rispetto ai loro coetanei che invece avevano ottenuto punteggi negativi. Il team ha riscontrato inoltre che i ragazzi con un senso positivo d’identità etnica mostravano anche livelli minori di depressione.

Gli autori ritengono che queste scoperte suggeriscano che i ragazzi coinvolti in tali programmi di comunità possono essere resi più forti grazie ai fattori aggiuntivi culturalmente rilevanti presenti nei medesimi programmi.

I ricercatori stanno anche esaminando il modo in cui i leader religiosi, gli allenatori e persino i barbieri possano influenzare positivamente la vita dei ragazzi di colore. Uno studio di questo tipo si chiama SHAPE-UP: Barbers Building Better Brothers, (Letteralmente: “i barbieri che costruiscono fratelli migliori”), un progetto fondato dal National Institute of Child Health e dall’Human Development, che Stevenson sta conducendo insieme ai colleghi della University of Pennsylvania, Loretta Jemmott, John Jemmott, e Christopher Coleman. Attraverso quest’intervento Stevenson intende esaminare se alcune discussioni che avvengono nei locali dei barbieri di colore, in cui si parla a ruota libera, possano essere usate come spunti per educare i ragazzi neri riguardo una vasta gamma di argomenti scottanti, come ad esempio le malattie trasmesse sessualmente, i rischi del reagire in maniera violenta e i benefici che può portare invece l’imparare a farlo in maniera pacifica, assimilando abilità di negoziare.

“I barbieri si percepiscono come una sorta di eroi invisibili”, afferma Stevenson. E aggiunge, “essi fanno un lavoro impressionante nel tenere i giovani e gli adolescenti fuori dai guai”.