una traduzione della Dott.ssa Luana Palermo

dell’articolo “Unlocking theEmotions of the Cancer” di Eather Stringer

tratto dal numero di ottobre 2014 della rivista Monitor on  Psychology.

Negli Stati Uniti una nuova norma impone ai centri oncologici di effettuare screening sul disagio psicologico ai pazienti

Heather Stringer

Susan Syring, infermiera presso il Siteman Cancer Center di St. Louis, recentemente si è presa cura di una donna ultrasessantenne che aveva bisogno di fare la radioterapia a causa di un cancro al fegato. Apparentemente la paziente non manifestava segni visibili di ansia. Ma nel momento in cui Syring ha accennato al fatto che le avrebbero potuto domandare la disponibilità a sottoporsi alla somministrazione di un test che misura il grado di disagio psicologico nelle persone, su una scala da zero (assenza di disagio) a 10 (stress estremo), la figlia della paziente è intervenuta affermando che il risultato di sua madre sarebbe certamente stato 20 su 10.

“Questo mi ha sorpresa, poiché la paziente né appariva agitata e né metteva in atto alcun tipo di comportamento che normalmente io avrei potuto cogliere e rilevare”, afferma Syring.

Ma di lì a poco l’infermiera è venuta a conoscenza dei motivi per i quali la sua paziente fosse realmente inquieta: la donna stava crescendo due nipoti adolescenti, poiché suo figlio era morto di recente, ed inoltre suo marito era malato terminale di cancro al sistema circolatorio. La paziente si è sentita sollevata nel momento in cui Syring le ha fatto presente che l’ospedale le avrebbe offerto dei servizi gratuiti di consulenza psicologica.

Depressione ed ansia risultano essere tra i disturbi dell’umore più comunemente associati al cancro. Uno studio del 2012, effettuato su oltre 10.000 pazienti ai quali era stata diagnosticata la malattia, mostrava come il 19% di loro riportasse livelli clinici di ansia, ed un altro 23% sintomi subclinici. Circa il 13% dei pazienti manifestava sintomi di depressione entro la gamma clinica, mentre il 17% risultava essere in una fase subclinica di tale disturbo (Journal of Affective Disorders, 2012).

La paziente di Syring è stata in un questo senso fortunata, poiché presso il Siteman Cancer Center, attraverso l’utilizzo di uno strumento chiamato Distress Thermometer, si è iniziato ad esaminare il disagio psicologico dei pazienti oncologici. Ma molti centri rivolti alla cura del cancro non hanno tali programmi e di conseguenza i disturbi dell’umore spesso rimangono nell’ombra poiché non vengono riconosciuti.

Alcuni Istituti di Ricerca hanno cominciato a realizzare programmi di screening durante il trattamento, per identificare i pazienti più a rischio di sviluppare disturbi legati alla salute mentale. D’altro canto vi è anche una difficoltà organizzativa e logistica nell’offrire un supporto psicosociale a tali pazienti, i quali inoltre possono essere travolti da problematiche di vario genere, come la paura della morte, l’insicurezza finanziaria e gli effetti collaterali debilitanti dei farmaci, come ad esempio la stanchezza. Secondo un’indagine condotta dall’American Psychosocial Oncology Society, quasi il 90% delle 146 istituzioni osservate offre servizi clinici psicosociali, ma solo circa la metà di tali strutture fornisce uno screening di routine sulle conseguenze dei fattori stressanti (Psycho-Oncology, 2013).

Per i pazienti tuttavia è difficile parlare ed ammettere la presenza di eventuali disagi psicologici, poiché non vogliono essere percepiti come una sorta di “paziente-problema”, o distogliere il medico dal trattare il cancro, afferma Lynne Wagner, psicologa alla Northwestern University. “I pazienti credono che il team medico dovrebbe domandare loro se davvero hanno intenzione di approfondire gli aspetti psicologici legati alla loro malattia, d’altro canto però il team oncologico parte dal presupposto che i pazienti condivideranno sicuramente questo modo di procedere, dal momento che stanno combattendo lo stesso nemico”, spiega Wagner. “Se si permette al disagio di procedere inosservato e di non venir trattato, l’esito è davvero quello di una specie di tempesta perfetta”.

Di recente questa sorta di enigma è stato nuovamente messo in luce e confermato dai risultati di un’altra ricerca effettuata su più di 21.000 pazienti, nella quale si è appunto riscontrato che circa il 75% dei pazienti affetti da cancro e depressi non stavano ricevendo una cura relativa alla loro condizione di salute mentale (The Lancet Psychiatry, 2014).

Il prossimo anno negli Stati Uniti questa tendenza subirà un cambiamento, grazie ad un nuovo mandato che richiede ai centri oncologici, che intendano mantenere l’accreditamento dell’American College of Surgeons’ Commission on Cancer, di realizzare un programma di screening riguardo il disagio psicologico. Fondamentalmente questa nuova norma ha il potenziale per aiutare le squadre mediche che operano in circa 1.500 strutture accreditate del Paese, nelle quali vengono trattati quasi il 70% del totale dei nuovi pazienti che hanno ricevuto una diagnosi oncologica.

“Questa è la prima volta che l’assistenza psicosociale viene considerata una componente necessaria per la cura del cancro in questo Paese”, afferma Wagner, membro del gruppo di lavoro che ha esaminato gli standard di accreditamento per i centri oncologici. “La nuova norma sarà uno strumento molto potente per reperire risorse per coloro che forniscono servizi di carattere psicosociale, dunque quel che possiamo aspettarci è di vedere un incremento di invii a tali servizi”.

Psicologia e fisiologia

L’urgenza di richiedere l’esecuzione di uno screening che esamini il disagio psicologico nei centri oncologici si è affermata quando un numero sempre crescente di studi ha iniziato a rivelare che i disturbi dell’umore hanno il potenziale di influire sugli esiti della malattia.

Uno studio, ad esempio, ha mostrato che alcune pazienti malate di cancro al seno, che hanno partecipato ad interventi settimanali di gruppo con uno psicologo per un anno, hanno ridotto il rischio di recidiva del 45% (Cancer, 2008). All’interno dei gruppi le pazienti hanno avuto modo di apprendere alcune tecniche di rilassamento e delle strategie per affrontare lo stress e per ottimizzare il supporto sociale. Attraverso uno studio di follow-up di queste stesse pazienti, la cui malattia in seguito era ricomparsa, i ricercatori hanno constatato che per coloro che avevano partecipato all’intervento di terapia di gruppo vi era stata una riduzione del 59% del rischio di morte (Clinical Cancer Research, 2010).

“L’intervento psicosociale ha avuto effetti positivi di lunga durata, riducendo i sintomi di alterazione dell’umore ed allo stesso tempo migliorando la risposta immunitaria da parte del paziente”, afferma Barbara Andersen, che ha condotto la ricerca presso Ohio State University. “È importante rendersi conto che, nel momento in cui cambiano le emozioni, è probabile che di conseguenza anche la biologia subisca delle variazioni. Allo stesso modo i cambiamenti biologici possono avere un impatto sulle emozioni”.

Uno studio simile ha indagato l’ipotesi che la depressione possa influenzare la sopravvivenza del cancro nelle donne con metastasi al seno. Janine Giese-Davis, che ha guidato la ricerca presso la University of Calgary in Canada, ha scoperto che le donne che hanno curato la loro depressione nel corso della malattia hanno vissuto in media 16 mesi in più, rispetto alle pazienti che invece non si erano sottoposte a nessun tipo trattamento psicologico (Journal of Clinical Oncology, 2011).

“È normale che ci si deprima nel momento in cui si riceve una diagnosi di cancro, ma è importante non restare in quello stato, perché la depressione cronica ha la forza ed il potere di incidere sui sintomi fisiologici”, sostiene Giese-Davis. “Il nostro obiettivo è quello di incoraggiare le persone a cercare sostegno se si sentono depresse”.

La nuova norma che impone un esame per indagare il disagio psicologico nei pazienti oncologici aiuterà a perseguire questo obiettivo. Si richiede sostanzialmente alle strutture di offrire uno screening sulla condizione psicologica, ed in seguito di inviare ad altri servizi o di fornire assistenza e follow-up ai pazienti per il disagio psicosociale; allo stesso tempo si dà però, a coloro che operano all’interno delle strutture, la facoltà di selezionare i propri strumenti per lo screening, di organizzare le tempistiche relative a questo tipo di procedura e di scegliere i criteri di invio ai servizi psicosociali. Queste linee guida generali hanno l’obiettivo di fornire, a coloro che si occupano della cura oncologica, la flessibilità per creare programmi che si adattino nel migliore dei modi alle loro istituzioni.

Al Siteman Cancer Center, ad esempio, quando un paziente totalizza un punteggio superiore a cinque al Distress Thermometer, infermieri o assistenti medici informano il team medico per discutere le opzioni riguardo il supporto psicosociale più idoneo da offrire al paziente. In seguito alla valutazione del livello di stress i pazienti indicano anche le aree che sono state problematiche nell’ultima settimana, come ad esempio l’occuparsi dei bambini, il dolore fisico oppure la tristezza.

Al Walter Reed Army Medical Center di Bethesda, nel Maryland, i medici esaminano il livello di disagio psicologico di tutti i nuovi pazienti oncologici utilizzando lo stesso “termometro” (strumento di misura) ed in seguito, se il punteggio dei pazienti è superiore a quattro, ne danno notifica alla psicologa che opera in questa struttura, Leslie Cooper. Successivamente dunque Cooper, che lavora al servizio di Psico-Oncologia presso il Walter Reed, si occupa di seguire questi pazienti per discutere nei dettagli le loro risposte. Lo screening recentemente ha messo in luce che un paziente, con diagnosi di tumore al cervello, era travolto da sensazioni di panico che gli ricordavano la sua esperienza di guerra. Cooper lo ha aiutato a comprendere che la sua diagnosi non significava necessariamente che lui avesse poco tempo da vivere, dal momento che erano disponibili cure e trattamenti.

“Lo strumento di screening è di grande utilità perché ci permette di aiutare i pazienti a parlare della loro diagnosi e della loro cura”, sostiene Cooper. “Esso fornisce un vocabolario di pensieri, sentimenti e preoccupazioni che i pazienti e il team medico può usare per comunicare e discutere sul protocollo di cura e su ciò che ci si aspetta in termini di qualità di vita”.

Nuove opportunità per gli psicologi

Mentre alcuni ospedali hanno degli psicologi nello staff per trattare i pazienti malati di cancro, molti centri oncologici hanno degli assistenti sociali per venire incontro alle esigenze ed ai bisogni psicosociali di tali pazienti, afferma Teresa Deshields, psicologa presso il Siteman Cancer Center. Lei ritiene che il nuovo standard aumenterà la domanda per i servizi di salute mentale e stimolerà i centri che si occupano della cura oncologica ad avvalersi di più psicologi per trattare i pazienti che stanno combattendo con aspetti emotivi della malattia.

“C’è un spazio importante per gli psicologi, perché gli assistenti sociali sono spesso sommersi da impegni che riguardano le faccende pratiche ed hanno poco tempo per fornire ascolto e consulenza o per dedicarsi alla terapia”, lei afferma. “Ci sono molte questioni psicologiche che hanno bisogno di più che di una soluzione pratica”.

Le strutture che non hanno le risorse per avvalersi di più psicologi, possono indirizzare i loro pazienti a professionisti esterni oppure ad organizzazioni comunitarie che offrono sostegno al di fuori delle mura dell’ospedale.

“Questa è un’opportunità per i professionisti della salute mentale affinché diventino proattivi e inizino a contattare gli ospedali accreditati, all’interno dei quali è necessaria la preziosa funzione assolta dagli psicologi”, sostiene Vicki Kennedy, un’assistente sociale impegnata nel campo dell’oncologia presso la Cancer Support Community, un’organizzazione internazionale no-profit con sede a Washington, D.C.

Lei è uno dei molti operatori sanitari che si dicono entusiasti riguardo la capacità dello strumento di screening di sostenere la cura del paziente oncologico. “Le persone non sempre confessano e riconoscono a se stesse che stanno soffrendo psicologicamente e lo screening è un’opportunità per migliorare l’esperienza della malattia”.