Autore: Dott.ssa simona Saggiomo
Ormai non c’è giorno che passa in cui la cronaca non porti alla luce un fenomeno di violenza sulle donne: i dati Istat a riguardo sono chiari : il 14,3 per cento delle donne italiane è stata vittima di violenza da parte del partner, ma solo il sette per cento lo ha denunciato, per non contare della violenza psicologica, più nascosta e sottile che porta qualche donna in terapia, ma che la maggioranza delle persone non considera nemmeno importante.
E’ frustrante per un terapeuta avere davanti a sé una donna spaventata, impaurita e che si sente in colpa verso il proprio partner che quotidianamente la avvilisce, sminuisce e la condanna per ogni errore commesso. Come mai le donne proteggono questo legame disfunzionale a costo di stare male loro stesse? Che cosa impedisce loro di vedere la violenza psicologica? Come aiutare chi ha sposato un uomo che “ Avevo capito che c’era qualche cosa di strano, ma in fondo, chi non lo è?” ( A.C.)
La storia di Barbablù raccontata da Clarissa Pinkola Estes nel suo libro “ Donne che corrono coi lupi” ben evidenzia che le donne sanno di aver incontrato l’uomo sbagliato, ma lo giustificano con frasi quasi tenere, utili a nascondere la loro vera natura, che la scrittrice definisce come donne che non vedono che la barba è blu, ma la preferiscono percepire come nera, quindi normale.
Questo è il primo passo della danza della paura: non riconoscerla, metterla a tacere, nasconderla. Ma cosa succede quando le cose non si vogliono vedere per quello che sono? Quando è iniziato questo processo?
E’ iniziato molto tempo fa, forse prima ancora che noi nascessimo, all’interno delle nostre famiglie sottoforma di ruoli e compiti prestabiliti, di lealtà da non tradire, pena: l’allontanamento familiare. Tutti questi meccanismi si instaurano senza che noi ne siamo consapevoli, da bambini, quando ci insegnano che occuparsi dell’altro è il modo per amare, quando ci insegnano che essere spontanei è pericoloso perché lascia spazio all’incertezza e all’impossibilità di controllare : già, ma chi?Che cosa? Quindi la cosa giusta da fare per essere amati è fare ciò che i genitori ci chiedono e, restando fedeli a loro, incominciamo a crescere con tali modalità, utili sì per aiutare, ma senza reciprocità. Si costruiscono legami dove i propri desideri non sono importanti, non sono degni di considerazione e quando ne incontriamo uno significativo non lo sappiamo riconoscere come “ buono”, ma come qualcosa da cui scappare perché non appartiene al mio linguaggio familiare.
Queste donne abituate a vivere con uomini con la barba blù incontreranno uomini con la barba blù, senza riconoscerla subito, perché dentro di sé una vocina ha sempre detto loro che quel legame è l’unico che esiste, ce lo hanno tramandato i nostri genitori. Quale donna ha il coraggio di tradire il proprio genitore? Meglio tradire noi stessi, la nostra voce intima e andare avanti.
Così si inizia la danza della paura, e si va a vivere in un bel castello, con tutti i confort: ma non possiamo avere tutto, non possiamo accedere ad ogni stanza: una in particolare. Ci viene data la chiave, ma non la possiamo usare. Che paradosso! La nostra natura di donne curiose e vive, anche se zittite da uomini paurosi e manipolatori però scalpita, e vuole uscire : è la nostra consapevolezza. Il coraggio ci fa aprire quella porta, ma il marchio del sangue ci fa sentire in colpa e ci spaventa. Quel sangue il marito lo vede e si arrabbia, ma il sangue è anche vita, quindi la donna progetta la fuga e scappa dal castello. Il racconto finisce bene, ma quante donne possono dire lo stesso?
Cosa c’era in quella stanza? Lascio a voi l’interesse di leggere la storia intera, bella e affascinante, ma la donna che ora vede, non può più fare finta di nulla, ma è molto faticoso. Adesso c’è la lotta vera e propria, tanto dentro di sé, quanto fuori, verso il marito con la barba veramente blù e la famiglia sia di appartenenza, che quella costruita.
La sofferenza è palpabile in studio, e la frustrazione è reciproca : da un lato che la voglia non aver visto, dall’altra c’è la necessità di aiutare questa donna molto combattuta e frustata verso sé stessa; essa si sente in colpa, perché la danza della paura è beffarda e malvagia : la responsabile di tutto questo è solo lei e le parole che ripete, benché non le appartengano, sono ben memorizzate come una nenia insegnata dal marito e prima di lui dalla famiglia.
Ecco la difficoltà : per rompere il circolo della paura bisogna rompere legami importanti e riconoscere che ciò che ci è stato insegnato non è stato così efficace, ma ha portato molti dolori. Dolori che si alimentano col passare del tempo, perché una volta aperta quella porta, ormai tutti sanno e tutti incolpano chi l’ha aperta. Il paradosso è che nessuno si chiede che cosa ci sia dentro quella stanza di così spaventoso, nessuno vuole vedere la verità, quindi si preferisce dirigere l’attenzione su chi ha osato usare la chiave che ora ne patirà le conseguenze.
Cosa fare allora? È un dilemma e benché tutti sappiano che uscire dalla danza della violenza sia la cosa giusta, in gioco c’è molto di più. Ciò che il carnefice, per usare un’etichetta anche se non esaustiva delle dinamiche attuate, ha fatto per insegnare a danzare la propria donna è un circolo vizioso di illazioni, paure, colpe, vessazioni, rimproveri costanti e sottili, tali da innescare nella vittima un comportamento che risponde a comando. Ma ora che lo scopo della danza è stato scoperto dopo aver aperto quella porta, mette il carnefice in una posizione molto pericolosa, perché adesso è stato messo a nudo il gioco malato a cui entrambi hanno partecipato fino ad allora. E mentre il marito tenta di ripristinare la danza, la donna è confusa e non sa cosa fare. Quindi aumentano le pressioni su di lei per tornare come prima, magari lo chiedono anche i figli: “Non rovinare la famiglia”, in cui tutti si vogliono bene, secondo però legami intrinsi di bugie e debolezze.
Anche il terapeuta è colpevole di questa scoperta : spesso il marito accusa lo psicologo di aver messo delle idee strane alla moglie e che sono solo stupidaggini, creando ulteriori incertezze e sfiducia nel mondo ormai rimasto vuoto di chi vive queste delicate situazioni. Le donne spesso non hanno amiche , perché anche loro potrebbero scoprire la verità ed è meglio allontanarle, e creare una solitudine tanto dentro che fuori la propria moglie, cosicché il controllo della danza resta in mano del marito.
Ma si può scegliere di vedere il contenuto di quella stanza? Certo che si può e credo che col tempo si debba vedere in tutte le sue sfaccettature. Alle volte però il processo di consapevolezza è lungo e doloroso : nessuno ci ha insegnato ad ascoltare il nostro disagio, le nostre difficoltà, ma ad aiutare l’altro e ad accondiscendere a quel volere, perché solo così si può essere amati. Costruire quindi con la paziente altri modi di essere riconosciuti come persone degne d’amore è un processo lungo, fatto di sofferenza e frustrazione costanti, di rottura di legami e paura, di cadute e salite. Ma è l’unica strada per non restare macchiate con quel sangue, che diventa un marchio di colpa indelebile.
La danza però è fatta da due persone ugualmente responsabili di sé e dell’altro: come mai ad un tratto solo uno ne è responsabile? Allora se danzo da sola, scelgo io con chi farlo e come farlo.
Così la vittima riprende in mano la propria vita, e impara ad ascoltarsi, di nuovo, ma con autenticità, questa volta.
Bibliografia
Clarissa Pinkola Estes “ Donne che corrono coi lupi”, ed. Frassinetti
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