Autore: Francesca d’Arista

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Her. In questo titolo stringato possiamo ritrovare una moltitudine di spunti su cui riflettere, come d’altronde ci offre il mondo del www evocato dall’aggettivo utilizzato. Le prime scene ci presentano Theodore e il suo contesto.

Il suo lavoro è scrivere lettere per conto di altri, intrise di emozioni che ormai le persone non riescono più a esprimere, e forse neanche a provare, affidate alla penna di un estraneo. Già questa realtà è piena di tristezza e solitudine. Il film è infatti un affresco delle relazioni vissute nell’epoca 3.0, poco lontane da quelle ritrovate negli intramontabili classici di genere: l’incomunicabilità, le incomprensioni, la fatica di accettare l’altro e di considerare i suoi desideri e i suoi bisogni, l’esigenza di trovare qualcuno che ci ascolti e ci accetti per quello che siamo. Theodore sembra aver trovato questo qualcuno in qualcosa: un software, evoluto, programmato alla perfezione, ma comunque non un essere umano. Facile per chi, come lui, sembrerebbe individuare le relazioni in cui si sente più a proprio agio in quelle virtuali (donne di chat erotiche e personaggi di giochi in 3D). Al regista bastano poi una manciata di minuti per infrangere l’illusione creata: Samantha, crescendo ogni momento, si “umanizza” sempre di più, facendo emergere un femminile umanizzato con tanto di gelosia, apprensione, quotidianità. Talmente femminile che è proprio Lei, come spesso accade nella realtà, e come accade a Theodore con sua moglie e alla sua coppia di amici, ad attivare una riflessione sulla relazione, a darle una “svolta”. L’immagine finale ci lascia comunque una speranza, una fiducia nelle relazioni. Un Lui e una Lei, fatti di corpo e mente, di sensi non circoscritti soltanto a quello dell’udito, che guardano il mondo, dall’alto, da un’altra prospettiva. Vicini. Muti ma comunicanti. Davanti a un’alba nuova che contiene future emozioni frutto della complessità propria della natura umana.