Autore: Dott.ssa Emanuela De Belis
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“Credo sia un problema di autonomia…”. Quante volte avrò ripetuto questa frase da quando mi occupo di problematiche legate all’infanzia o all’adolescenza?
I pazienti con scarse autonomie rappresentano il 100% del mio campione clinico nell’ambito evolutivo (a volte anche nell’ambito adulto, ma questa è un’altra storia…): non che le difficoltà possano riferirsi esclusivamente a quello, ma certo la scarsa autonomia, o la dipendenza dai genitori, entrano prepotentemente in gioco nell’immagine di se’, dell’Altro, e del mondo che ci circonda.
Non saper gestire da soli le incombenze quotidiane porta a non conoscere e non toccare con mano trame e sottotrame del mondo esterno: il risultato è una rappresentazione chimerica e arbitraria, disancorata dalla realtà, in cui si alternano fantasie di successo e angosce catastrofiche.Avete presente quando il/la quindicenne sostiene che a 18 anni se ne andrà di casa, si troverà un lavoro per mantenersi e andrà a vivere con il/la migliore amica per tutta la durata degli studi universitari? Scuotiamo la testa, ridacchiando, nel migliore dei casi: non ha idea di quanto costi un affitto, della situazione lavorativa in Italia, della faticosissima conciliazione tra studio e lavoro. Nel peggiore dei casi reagiamo urlando, minacciando scenari apocalittici e futuri da senzatetto. O deridiamo l’adolescente: “Ma se non sei neanche capace di fare una lavatrice?”
La conseguenza più dannosa, però, è la costruzione di una sensazione di irrealtà che pervade la maggior parte di bambini e adolescenti: il disagio di chi sente che la vita vera è da un’altra parte, che si sta fingendo di essere al mondo, perché, in fondo in fondo, non se ne è capaci. Dopotutto, non so neanche fare una lavatrice…
Il senso di mancata autenticità conduce spesso, troppo spesso, a un aumento dell’ansia nell’affrontare il mondo esterno: e, quindi, a condotte di evitamento del genere “mi sono scordato-puoi farlo tu-non sono capace”. Esse portano a una mancata interazione con il mondo, e quindi a un rafforzamento dell’idea di non essere capace, in un circolo vizioso che, con l’età, non fa che aumentare.
L’altra faccia della medaglia è composta dai genitori: che intervengono quando il figlio si è scordato-non lo fa-non è capace, proteggendolo da un mondo che non sa affrontare. Per poi trovarsi con un carico di lavoro opprimente che non riescono a gestire, con una lista di attività da fare, coordinare, controllare, che vanno dall’ambito domestico a quello scolastico a quello relazionale. E con relativa rabbia, frustrazione, verso quel figlio che non solo non fa la lavatrice, ma pretende pure di andarsene di casa a 18 anni…
Facciamo un passo indietro. Da dove è partito circolo vizioso? Dalla paura.
Dalla paura che il mondo esterno possa colpire quell’esserino che abbiamo tra le mani, dalla volontà di proteggerlo da ogni male, di aiutarlo in ogni situazione. Una paura che spesso ci fa perdere la bussola nel faticoso percorso di crescita, del figlio ma anche del genitore.
“Aiutami a fare da solo”, diceva Maria Montessori: non dimentichiamo mai che il regalo più grande che possiamo fare a un figlio è fornirgli gli strumenti per muoversi autonomamente nel mondo, scegliendo da solo le strade che lo rendano più felice.
Come si insegna l’autonomia?
I tre pilastri su cui si fonda sono: la casa, la spesa, i mezzi pubblici.
Il bambino, l’adolescente, deve pensare da solo a riordinare e pulire la propria camera: dapprima solo la scrivania, o l’angolo giochi, poi anche il letto, gli scaffali e il pavimento. Aiutandolo quando è molto piccolo, ma lasciandolo libero di decidere i propri spazi man mano che cresce, fino a non mettere bocca nella gestione della sua stanza. Deve inoltre dare una mano in casa, dall’apparecchiare per i più piccoli, alla lavatrice per i più grandi (se non glielo insegnamo mai, come farà quando andrà a vivere da solo? ).
Fare la spesa aiuta nella gestione dei soldi, ma non solo: aiuta anche a comprendere i livelli di qualità, a studiare il rapporto qualità/prezzo, a capire cosa si nasconde dietro una vendita promozionale. Ma, soprattutto, mette a confronto i nostri figli con il mondo adulto, con commessi, cassieri, salumieri, con cui devono relazionarsi, a cui devono imparare a chiedere. Non è cosa di poco conto: la maggior parte degli adolescenti si vergogna profondamente a interfacciarsi con adulti che non gli sono familiari.
Infine, gli spostamenti: se un bambino prende i mezzi pubblici con i propri genitori, presto sarà in grado di muoversi da solo: la capacità di orientamento, la pianificazione del percorso, sono capacità pratiche di cui, purtroppo, i ragazzi sono scarsamente dotati. Lasciare loro la possibilità di gestire i propri spostamenti, o di organizzarsi con gli amici per trovare il modo di tornare a casa, è una grande prova di fiducia, ma anche uno degli ambiti in cui l’autonomia cresce di più.
A che età si insegna l’autonomia?
E’ un processo che si segue dalla nascita fino all’età adulta. Fin da piccolissimi i bambini possono essere spinti a fare da soli tutto ciò che è possibile: naturalmente questo significa anche aspettare i loro tempi di azione e di apprendimento. E questo vale a 2 anni come a 16. Se nostro figlio non ha mai preso un autobus, non possiamo aspettarci che non si perda le prime volte. Se non ha mai rifatto un letto, non possiamo pretendere che ci metta due minuti come noi. O che le lenzuola siano perfettamente sistemate. Teniamo in considerazione la lentezza, gli errori, le modalità diverse: cerchiamo di abbandonare l’idea di tenere tutto sotto controllo, respirando e rilassandoci, quando vediamo che qualcosa non è esattamente come lo vorremmo noi, quando il quaderno scordato a casa ha causato un brutto voto, quando la polvere nella stanza ha raggiunto livelli insostenibili, quando l’autobus perso ha causato un’entrata alla seconda ora.
Non è facile, ma da buoni risultati. Vogliamo provarci?
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