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Riflessioni sul film Gravity con una nota sul concetto di “Pelle psichica”

In questi giorni è uscito al cinema il film di Alfonzo Cuarón GRAVITY con Sandra Bullock e George Clooney.  Questa in sintesi è la trama: La brillante dottoressa Ryan Stone è alla sua prima missione spaziale, mentre l’astronauta Matt Kovalsky è all’ultimo volo prima della pensione. Quella che per loro doveva essere una passeggiata spaziale di routine si trasforma in una catastrofe. Lo shuttle viene distrutto e loro si ritrovano soli nell’assordante silenzio dell’universo. Fluttuanti nell’oscurità e privi di qualunque contatto con la Terra non hanno apparentemente alcuna chance di sopravvivere anche per via dell’ossigeno che va esaurendosi. Forse l’unico modo per sperare di tornare a casa è quello di addentrarsi nello spazio infinito.

L’ho visto ieri, ovviamente lo stile è decisamente hollywoodiano, in 3D e con tutti i limiti del film di grande pubblico, però ci sono parecchi spunti interessanti soprattutto l’idea di perdersi realmente “fuori dal mondo”.  Di seguito ho inserito una nota sul concetto di “Pelle psichica” che mi sembra utile e pertinente con le tematiche affrontate dal film.

Buona lettura, buona visione del film e soprattutto aspetto i vostri commenti…


La pelle psichica

Il concetto di pelle psichica nasce dall’intuizione di Esther Bick (1968) la quale durante l’osservazione dei lattanti (Infant Observation) comprese che il bambino riesce a contenere le parti del sé, che diversamente si frantumerebbero in tanti pezzetti, grazie all’interazione con un oggetto esterno (la pelle della mamma) che dà al bambino piccolissimo l’esperienza di confine. La Bick utilizza un’immagine evocativa di ciò che può percepire un lattante appena nato: “Quando il bambino nasce, egli si trova nella posizione di un’astronauta che è stato espulso nello spazio esterno. Il terrore predominante del neonato è quello di frantumarsi o liquefarsi.” (E. Bick, 1968). A proposito di pelle psichica Claudio Neri indica che “tale oggetto contenete [la pelle psichica] si costituisce normalmente nel corso delle poppate grazie alla doppia esperienza che il bambino fa, simultaneamente, del capezzolo materno contenuto nella sua bocca e della propria pelle contenuta dalla pelle della madre che sorregge il suo corpo, dal suo calore, dalla sua voce, dal suo odore.” (C. Neri, 1996). Anzieu riprende il concetto di pelle psichica estendendolo a ciò che egli definisce Io-pelle: “Con Io-pelle designo una rappresentazione di cui si serve l’Io del bambino, durante le fasi precoci dello sviluppo, per rappresentarsi se stessi come Io che contiene i contenuti psichici, a partire dalla propria esperienza della superficie del corpo.” (D. Anzieu, 1985). La pelle assume quindi la funzione di Interfaccia tra l’esterno e l’interno, interfaccia fisica e psichica con la quale costruire un confine con il doppio obiettivo di “[…] differenziazione interna e di contenimento” (D. Anzieu, 1985).