Autore: Dott.ssa Marzia Cikada
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Tutte le promesse di benessere e tutte le sicurezze date in epoca moderna dalle istituzioni statali nazionali, dai politici e dagli esperti di scienze e tecniche, sono state distrutte. E non c’è più in giro un’istanza che tolga all’uomo le sue nuove paure. Ecco allora che la crisi ecologica ci fa intravedere qualcosa come un senso all’orizzonte, persino la necessità di una politica globale ed ecologica nel nostro agire quotidiano.
Ulrich Bech
Il 12 agosto, data di uscita per un giorno in alcuni cinema del mondo (ma non proprio di tutto), non sono riuscita a vederlo. Ma in molti dovremmo farlo e trovare poi un posto tranquillo, silenzioso, per farci le nostre domande. Perchè la nuova fatica di Shaun Monson non è solo la passione di un uomo che ha fatto delle scelte etiche, è una riflessione su cosa stiamo perdendo per guadagnare cosa.
Il regista ha già realizzato un film cult sulla relazione animali e uomo, Earthlings (2005) dove, in ottica antispecista, la voce narrante di Joaquin Phoenix, accompagnata dalla musica di Moby, raccontava il modo di (non) stare insieme di uomini e animali, passando in rassegna i motivi per cui l’uomo li utilizza ( cibo, ricerca, compagnia, vestiti etc). Di certo un prodotto sui generis, forte, che non aveva trovato l’accordo di tutti ( specie perchè propone una direzione vegana, vegetariana, antispecista da dare alle proprie scelte) ma che, comunque, senza voler entrare nel merito, solleticava la possibilità di farsi delle domande, di essere curiosi del proprio essere al mondo e del come lo si realizzi. E in un mondo dove la curiosità è sempre più suggerita dai ricercatori come risorsa da solleticare e sempre meno naturalmente coltivata, un punto di vista diverso può solo essere il benvenuto.
Oggi l’idea di “Unity” è ancora più forte, perchè, come suggerisce il titolo stesso, unisce dove si tende a separare. Il regista Monson, con il sostegno di un cast di un centinaio di voci narranti famose ( da Ellen de Generes a Ben Kingsley passando da Jennifer Anistone Mark Strong) mette in scena un manifesto che sottolinea la necessità di recuperare la connessione tra uomo, natura, animali e lo relaziona al nostro futuro, a quello che stiamo realizzando del nostro mondo, al momento unico a nostra disposizione.
Il film è diviso in cinque capitoli ( Cosmos, Mind, Body, Heart e Soul trad. Cosmo, Mente, Corpo, Cuore, Anima) appoggiandosi per la parte scientifica al lavoro di Carl Sagan e della sua vedova Ann Druyan. Attraverso la visione di quello che siamo, si suggerisce di fare attenzione alle nostre scelte quotidiane, dal discorso alimentazione a quello energia e non solo. Nel rispetto di quello che siamo, mentre molto del nostro modo di vivere, che ha portato alla crisi ecologica, è poco competente, non sa bene cosa e le conseguenze di quello che mette in atto.
Una bella intervista su NPR ( National Pubblic Radio) ci racconta lo spirito del film. L’intervistatore è il noto fisico, astronomo, filosofo brasiliano, Marcelo Gleiser, insegnante nell’Università degli Stati Uniti, conosciuto per la sua capacità di divulgazione della scienza e per i suoi libri, dove parla dei limiti della scienza e di come l’imperfezione domini la creazione con la sua bellezza, offrendo un punto di vista diverso alla teoria dell’armonia dell’Universo. Domanda dopo domanda, si parla di come il film tratti del futuro dell’Umanità, ma non con i toni severi del rimprovero (un grigio e terroristico “moriremo tutti” ) piuttosto con una ottimistica e positiva visione che vede ognuno in grado di fare qualcosa, un passo per migliorare le cose.
L’idea è che la tendenza dell’uomo è parcellizzare, staccarsi dalla sua stessa natura e questa mancanza di unità, di legame, porta sofferenza e mancanza di futuro, di speranza costruttiva. Basta guardare cosa accade nelle scuole, dove ai bambini di impone di seguire dei modelli sempre più puntati sul risultato e sulla standardizzazione, senza ascoltare e dare spazio alla creatività e alla naturale capacità dei bambini di stare al mondo. Lentamente si perde la connessione con il tutto, come ogni gesto sia parte di un quadro più grande, al quale non possiamo sottrarci se non a nostre spese, presenti ( il malessere che è vivo in molti di noi) e future ( il mondo che stiamo creando). Secondo il regista, mostrare quando siamo piccoli di fronte al Cosmo, spingendo a maturare una consapevolezza nuova su cosa siamo e come decidiamo di esserlo. L’obiettivo del documentario, non è tanto trovare una soluzione armoniosa ma muovere le persone a porsi la possibilità del cambiamento, affrontando diversamente la nostra cultura, le nostre tradizioni, il nostro modo di pensare per riflettere su come sia necessario e possibile la sfida di cambiare alcune idee per guardare diversamente quello che possiamo fare.
Si ritiene che l’uomo sia ormai separato, la doppia etica lo avvolge ( amando chi gli è vicino ma non provando compassione, empatia per gli altri o per la natura che lo contiene o altri esseri viventi) e questo lo allontana dal sentirsi parte, unità, con quanto lo circonda. Eppure, “Unity” vuole essere una possibilità di cercare altre parole, altre prospettive, non necessariamente quelle poi adottate dal regista, ma altre. Per questo è un film prezioso da vedere. Perchè non culla, non affonda pacche sulle spalle, ma sussurra, con voce ferma, che è il momento di guardare cosa si sta facendo e attivamente, nel modo a ognuno più suo, trovare e provare qualcosa di nuovo, o antico, capace di dare senso, di legare con l’altro, nostro vicino di carne, ossa, pietra, pelo.
Quello che stiamo vivendo giorno per giorno, è la realizzazione di un percorso che non tiene conto delle nostre connessioni, ma che se ne allontana. La nostra storia recente, oggi, estate 2015, ci racconta con toni lontani, separati, la morte dei ragazzi, poco più che adolescenti, come fossero prodotti sbagliati da giudicare per un piercing, si vive nella paura di quanto non rientri nelle strette fila di quello che si conosce. Che sia una coppia omosessuale, un immigrato, un bambino troppo attivo, un uomo dallo sguardo di madre, qualcuno non definibile secondo quello che pensiamo sia il nostro dovere accettare, tutto ci spaventa e la paura rende aggressivi se non passa per i giusti canali, quelli che avvicinano, uniscono, riportano la comunità ad essere connessa, vicina. In quest’ottica, in questa estate di gender, fantasmi e sofferenze, un film che chiama alla possibilità di essere altro è una speranza.
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