Autore: Dott.ssa Simona Esposito
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“La cecità allontana le persone dalle cose;
la sordità allontana le persone dalle
persone.” — Helen Keller
La nascita di un bambino sordo è un evento traumatico per la famiglia udente che, a differenza di quella sorda, non è minimamente preparata ad un’evenienza del genere. La grande difficoltà dei genitori è nel dover affrontare da soli tutte le problematiche che derivano dal deficit acustico, senza poter contare su veri e propri centri di consulenza che sappiano dare informazioni complete sui vari iter educativi e sulle scelte che si devono affrontare. Quindi non è facile affrontare le scelte educative riabilitative e sociali (Maragna 2000). Invece altri paesi come per esempio in USA, la famiglia viene per così dire presa in carico da un’istituzione di counseling e seguita anche con un supporto psicologico durante lo sviluppo evolutivo del bambino; di fatto viene aiutata nelle scelte cruciali (gli iter sopraccitati) che un genitore deve affrontare (Maragna, 2000).
La diagnosi di sordità genera nei genitori un grosso impatto emozionale. Di per se, prima della nascita di un individuo, all’interno della famiglia si costituisce un immagine anticipatrice, ossia una proiezione dei desideri genitoriali sul figlio che sarà; un esempio di questa immagine identificatrice e anticipatoria è quando i genitori manifestano la preferenza nella possibilità di avere un maschio o una femmina ma dopo nove mesi quando la speranza sarà disattesa si adegueranno al sesso del nascituro e non lo vestiranno con abiti tipici del sesso opposto per farlo crescere in base ai propri desideri. Ma accettare il deficit di sordità è un po’ diverso, considerando che la scoperta del deficit avviene solo dopo diversi mesi dal parto, i genitori dovranno dunque sostituire l’immagine perduta del bambino idealizzato con quella più attuale e realistica del bambino deficitario.
Per fronteggiare questo disagio i genitori, e in particolare la madre mettono in atto, senza esserne consapevoli, una serie di meccanismi difensivi e di reazioni comportamentali che hanno la funzione di alleviare l’angoscia che la diagnosi di sordità può causare.
Con il termine meccanismo di difesa si intende una modalità con la quale gli individui tendono a contenere i sentimenti di angoscia (L’Io e i meccanismi di difesa, A. Freud, 1936).
Uno dei meccanismi di difesa che generalmente viene utilizzato è il diniego. Si manifesta soprattutto nella fase che precede la diagnosi definitiva e viene espresso attraverso la minimizzazione dei segnali di disagio del bambino (negazione del sintomo).
La razionalizzazione è, invece, il tentativo di fornire spiegazioni razionali in contrasto con fatti reali vissuti come spiacevoli. La colpevolizzazione nonostante la sua valenza negativa può però svolgere una funzione contenitiva perché fornisce una prima spiegazione dell’evento. Il senso di colpa, se non è eccessivo, può costituire da stimolo, per i genitori, nella ricerca di soluzioni.
L’isolamento affettivo è un meccanismo attraverso cui un’esperienza viene vissuta scindendola dalle implicazioni emotive ad essa correlate. La sordità può quindi essere accettata solo a livello razionale, ma non emotivo. Es. genitori che si interessano ai dettagli della diagnosi e della cura, ma non riconoscono l’angoscia e la depressione derivanti dalla scoperta.
Lo spostamento è invece un meccanismo attraverso il quale i sentimenti di rabbia e di colpa vengono indirizzati verso altre persone (personale che opera con il bambino o con i genitori) che diventano così il capro espiatorio di tutto ciò che non va nella relazione genitore-bambino.
Secondo, invece, Elizabeth Kubler Ross la reazione dei genitori alla scoperta del deficit del figlio si articola in cinque fasi:
La prima fase riguarda uno stato di shock accompagnato da un senso di vuoto e distacco fisico (Negazione);
La seconda fase è caratterizzata dalla presa di coscienza della realtà, si verifica un senso di confusione e di impotenza rispetto al deficit e cercano diverse spiegazioni (Razionalizzazione), in questa fase emergono anche i sensi di colpa (colpevolizzazione);
La terza fase riguarda il rifiuto, i genitori cercano nuove distrazioni e impegni per alleggerire il peso presente in famiglia (spostamento);
La quarta fase è caratterizzata dalla presa di coscienza del problema, in questa fase i genitori accettano l’utilizzo delle protesi acustiche;
La quinta fase riguarda l’adattamento e l’accettazione del problema, si vede il ritorno dell’autostima e la scoperta delle soddisfazioni che il bambino porterà ugualmente con se.
Quando queste fasi non vengono superate si verificano ripercussioni sul rapporto tra genitori e figli, inoltre, causerebbe una frammentazione dell’identità del bambino poiché allontanato fin dalla nascita dai suoi genitori per il suo deficit oppure il dover essere costretto a crescere come se fosse udente e ciò causerebbe delle ripercussioni sul comportamento e sulla personalità del bambino sordo.
I genitori hanno un ruolo essenziale nell’accettazione del deficit da parte del figlio e nella fiducia che avrà in sé stesso; per tale ragione più il genitore lo percepirà diverso da sé tanto il bambino si sentirà diverso dal genitore.
Le preoccupazioni dei genitori udenti riguardano anche la paura di non essere capiti dal bambino, ciò li porta a chiudersi in se stessi e a creare una pericolosa “frattura comunicativa” fra loro e il figlio. Una frattura che può determinare per il bambino problemi linguistici, psicologici e in certi casi cognitivi (Bosi e Cafasso 1997, Marschark 1995 in Ardito 1998).
I genitori udenti si mostrano confusi ed intuiscono che il loro modo di comunicare non funziona, ma non conoscono alternative e spesso si bloccano. Si crea così un pericoloso circolo negativo fra il bambino e chi si occupa di lui, generalmente la madre: il bambino non comprende i messaggi della mamma; la mamma di conseguenza, inconsapevolmente diminuisce l’interazione con il figlio; il bambino, a sua volta, è ancora meno invogliato a parlare.
Si evidenzia in questo modo un problema di condivisione della lingua fra bambino e genitori. I bambini sordi figli di genitori sordi possono non solo interagire direttamente con i loro genitori attraverso la lingua dei segni, ma anche essere esposti al linguaggio più complesso e ricco che gli adulti usano fra di loro in sua presenza. Quest’ultima possibilità comunicativa è negata invece ai bambini sordi figli di persone udenti che usano soltanto la lingua parlata: il bambino in questo caso può percepire soltanto (e sovente con difficoltà) le parole che gli vengono rivolte direttamente. Le possibilità comunicative sono allora assolutamente diverse per i due gruppi di bambini. Se riteniamo che sia indispensabile acquisire una lingua fin dalla nascita per poter sviluppare appieno il pensiero e che solo attraverso la lingua si possono costruire le relazioni con il mondo, allora per quest’ultimo gruppo di bambini sordi ci troviamo di fronte ad una situazione complessa. Essi non possono acquisire naturalmente la lingua vocale dai loro genitori, perché il deficit uditivo ne impedisce loro la corretta percezione. Possono certo apprendere questa lingua, ma solo secondo modalità particolari e tempi prolungati. Possono invece acquisire normalmente una lingua dei segni attraverso il canale visivo-gestuale integro, ma i loro genitori, anche quando abbiano deciso di adottare questa lingua, di fatto ancora non la conoscono e possono di fatti apprenderla insieme a loro.
La comunicazione in segni sarà pertanto molto elementare e mancherà comunque l’esposizione all’interazione più ampia che i bambini udenti o i bambini sordi figli di sordi sono soliti vedere intorno a loro, quando mamma e papà parlano fra loro o con altre persone. Numerose ricerche condotte negli Stati Uniti e in Italia, confermano che il bambino sordo esposto alla lingua dei segni fin dalla nascita, può acquisire negli stessi tempi e modi in cui i bambini udenti imparano la lingua vocale. Inoltre la lingua della comunità in cui i bambini sordi italiani vivono è l’italiano parlato e per far parte della società è fondamentale conoscere la lingua scritta, strumento indispensabile non solo per acquisire conoscenze, ma per potersi muovere in maniera autonoma e attiva nella vita di tutti i giorni (Ardito 1998).
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