L’assessment nei casi di cybersexual addiction – Dipendenza sessuale da internet

Autore: Angelo Manzoni

tratto dalla rivista “Gli psicologi”

Tipologie delle attività sessuale on-line

La cybersexual addiction o la cyberporn addiction, sono concetti sempre più conosciuti sia dai professionisti della salute mentale, ma anche dal pubblico più ampio.
La
 dipendenza sessuale da Internet è quindi un problema con cui sempre più professionisti sono a contatto.

L’assessment è una fase fondamentale del processo per uscire dalla dipendenza ed è quindi importante per il professionista sapere qual è il livello di motivazione del cliente.

Secondo il modello proposto da Di Clemente e Prochaska (1982), il processo che porta al cambiamento per uscire dalla dipendenza avverrebbe attraverso cinque fasi:

  1. Precontemplazione: il soggetto è portatore di un problema, ma non lo riconosce e di conseguenza non pensa di affrontarlo, lo considera una parte costitutiva di sé e degli altri (nel nostro caso potrebbe pensare che chiunque faccia uso di pornografia tramite Internet);
  2. Contemplazione: il soggetto si rende conto di avere un problema anche a seguito delle difficoltà causate dal comportamento dipendente;
  3. Preparazione: il soggetto è motivato a cambiare ed inizia a progettare un vero e proprio intervento per modificare il comportamento dipendente;
  4. Azione: la persona inizia a muoversi attivamente per modificare il proprio comportamento (ad esempio s’informa in merito ai possibili interventi terapeutici);
  5. Mantenimento: il soggetto cerca di mantenere costante il comportamento maggiormente funzionale che ha raggiunto attraverso il percorso terapeutico.

Secondo quanto espresso, per il professionista, è importante conoscere in quale fase si trova il cliente, in quanto un intervento messo in atto prima che il paziente sia in fase di preparazione difficilmente porterà ad esiti positivi. Per un cliente in fase di precontemplazione o di contemplazione, sarà necessario un intervento di tipo motivazionale ancor prima di un intervento di tipo correttivo.

Un altro aspetto molto importante in fase d’assessment è la conoscenza del tipo d’attività messe in atto dal cliente tramite Internet.

Le attività sessuali in Internet sono di varie tipologie, ma possono essere classificate in due principali categorie d’attività, seguendo il modello proposto da Ferree (Ferree, 2003) in base alla modalità d’utilizzo:

Solitarie: in cui c’è l’utilizzo da parte di un soggetto senza che vi sia nessun tipo d’interazione tra utenti;
Interattive: in cui almeno due utenti fanno ricorso ad attività sessuali on-line.

Le attività possono anche essere suddivise in base alle caratteristiche percettive utilizzate dal soggetto in fase d’utilizzo:

Visive: attività che sono fruite tramite immagini;
Narrative: ovvero attività che comportano il ricorso alla lettura.

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Bambini, APP e quando il tempo libero si trasforma in frustrazione.

Bambini, APP e quando il tempo libero si trasforma in frustrazione.

Autore: Dott.ssa Marzia Cikada

vedi Blog dell’Autore

 

E’ più facile crescere bambini forti
che riparare uomini rotti
Frederick Douglass

 

La notizia che ci regala l’articolo della Repubblica di ieri (04/08/2014) è cheLia, 7 anni, ha suggerito al babbo, sviluppatore di applicazioni per una compagnia di Singapore, di crearne una che permettesse ai bambini di stare più tempo con i genitori. L’idea è che i genitori fanno fatica a trovare tempo per i loro bambini e allora ecco la fulminazione, l’avrebbero creato loro il tempo da passare con i genitori, grazie ad una APP che, oggi, si chiama Mini Hug (piccolo abbraccio) ed è scaricabile gratuitamente.

Di cosa si tratta? Di un gioco a premi, con punteggi e tutto quello che ormai riempie le applicazioni dei giochi di tutti i tipi. Come si fanno i punti? Facendo delle attività con i propri figli, diviso per giorni, settimane, mesi. Si segna cosa si è fatto e per quanto tempo e viene attribuito un punteggio. Poi, a volerlo, si condivide con gli altri genitori che, a questo punto, dovrebbero impegnarsi a fare meglio in una gagliarda competizione al genitore “migliore”. Ma non c’è solo quest’ APP per andare in aiuto dei numerosi genitori senza tempo, è tutto un fiorire di iniziative che hanno un solo obiettivo, ottimizzare il tempo, non sprecarne andando in posti che poi non piacciono ai bambini o non sono abbastanza attrezzati, organizzare tutto nel migliore dei modi, sfruttare, riempire, ordinare ogni verbo che si coniughi con attenzione alle paure del tempo.

Altra idea di cui si parla è quella del progetto,  nato italiano nel 2012 e con base a San Francisco, di “Save the Mom“ che aiuta le famiglie a fare ordine nel marasma delle loro cose, dalla lista della spesa all’elenco delle telefonate da fare, mettendo il tutto ben stipato all’interno di un programma. E poi abbiamo il portale Kid Pass, dedicato ad individuare le idee e le strutture migliori per le necessità dei propri figli. Sono tutte cose belle? Cose brutte? Di certo sono iniziative interessanti, raccontano qualcosa delladifficoltà di reggere  le piccole gioie e frustrazioni quotidiane di un genitore(“quello le fa schifo”, “non c’è stato verso”, “si è divertito un mondo!”), del bisogno di sentirsi accompagnati, della paura di sentirsi inadeguati, senza una buona proposta da fare per quelle interminabili ore “libere”del week end. Un timore di fronte alla frustrazione che porta poi a proteggere i bambini in maniera esagerata da tutto quello  che si pensa possa causarne anche a loro. Accade che, infine, per eccesso di zelo e paura di sbagliare non si permetta ai bambini la naturale esperienza della fatica, del non poter sempre sempre soddisfare i propri bisogni e desideri con quello che ne consegue in possibili fragilità future.

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Uscire dal Panico

Ecco un articolo di una nostra nuova collaboratrice, lieto di pubblicarlo.

Autore: Dott.ssa Carmen Di Grazia

 

Un giorno la paura bussò alla porta, il coraggio andò ad aprire e non trovò nessuno. (Martin Luther King)

Per quanto infiniti possono essere gli oggetti o le situazioni che ci troviamo ad affrontare nella vita di tutti i giorni nessuno è dispensato dal sperimentare la paura. La paura in quanto emozione primaria ha lo scopo adattivo di permettere la sopravvivenza di un individuo davanti a pericoli imminenti.

Nel meccanismo istintivo della sopravvivenza è infatti prevista la percezione innata di alcuni pericoli che innescano la paura e che si cercano di evitare. Se, infatti, ci troviamo davanti ad uno stimolo considerato come minaccioso o di sofferenza di una persona quasi prontamente mette in atto un comportamento solitamente di attacco o di fuga.

Ma quando la paura diventa un problema e crea un forte disagio all’individuo?

Vi sono infatti situazioni nelle quali si attiva la paura davanti a uno stimolo che di fatto non è associato ad un pericolo di vita ma associato ad un timore o una preoccupazione. Se manca questa associazione tra pericolo reale e la messa in atto di modalità per fronteggiarlo ci troviamo nella situazione in cui la paura invade il mondo della persona, ne consegue che la persona cerca in tutti i modo di evitare di provare questa emozione, in quanto sperimenta un forte malessere. La paura può essere vissuta essa stessa come un danno, come un segnale che rigenera in sé una nuova paura, e allora la paura finisce per fare paura e immobilizzare o confondere. La paura in questo caso (sebbene apparentemente irrazionale) rende incapaci di una qualsiasi azione e certamente anche di quelle utili a difendersi, in quanto nei casi estremi, come nel disturbo d’ansia generalizzato, la persona può anche non essere in grado di identificare un particolare pericolo che giustifichi la continua presenza dell’emozione negativa. Un altro caso particolare sono gli attacchi di panico in cui molto spesso la persona non riesce a capire che cosa scateni delle reazioni così intense e problematiche.

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Dott.ssa Carmen Di Grazia

Iscritta all’Albo degli Psicologi della Regione Emilia Romagna con n° 7828 sez. A. Si è laureata presso la Facoltà di Psicologia dell’Università degli Studi di Palermo in Psicologa Clinica e di Comunità, successivamente, ha conseguito la specializzazione in Terapia Sistemico Relazionale presso ISCRA (Istituto Modenese di Psicoterapia Sistemica e Relazionale) di Modena, con una tesi sul gioco d’azzardo patologico.

Nel corso della sua formazione presso il Servizio Tossicodipendenze dell’Ausl di Cesena si è occupata della prevenzione e cura delle tossicodipendenze e del gioco d’azzardo patologico (GAP). Nel corso della sua esperienza clinica si è particolarmente interessata a psicopatologie di diversa natura quali; disturbi d’ansia (crisi di panico, attacchi d’ansia, agorafobia, fobie sociali, ipocondria, disturbo ossessivo – compulsivo), disturbi alimentari (anoressia, bulimia), disturbi sessuali, depressione reattiva, bassa autostima.

La Dott.ssa Carmen Di Grazia svolge a Cesena attività libero-professionale come Psicologa Psicoterapeuta nei seguenti ambiti di intervento:

  • Disturbi d’ansia (attacchi di panico con o senza agorafobia, ossessioni e compulsioni, ansia generalizzata, fobia sociale e fobie specifiche, disturbo post traumatico da stress)
  • Disturbi somatoformi (ipocondria, dismorfofobia, somatizzazione, ecc..)
  • Disturbi del controllo degli impulsi (difficoltà nel controllo della rabbia, gioco d’azzardo patologico, …)
  • Disturbi dell’umore (depressione, nelle sue diverse forme)
  • Disturbi del comportamento alimentare (anoressia, bulimia, obesità, alimentazione compulsiva, vomiting)
  • Disturbi da abuso di alcol e sostanze
  • Problemi relazionali nei diversi contesti (coppia, famiglia, sociale, lavorativo)
  • Disturbi di personalità (evitante, dipendente, borderline, narcisistica, disturbo ossessivo compulsivo)
  • Disturbi legati all’abuso di Internet (chat, scommesse, shopping online)
  • Problemi dell’adolescenza (evitamento, ansia da prestazione, fobia scolare, isolamento, …)
  • Problematiche legate alla percezione del sé e autostima

 

Riferimenti:

La Dott.ssa Di Grazia Carmen riceve presso:

– Corte Don Giuliano Botticelli, 51 CESENA (FC)

– Via Chiesa di Sant’Egidio, 135 Cesena (Poliambulatorio L’Eau)

Per appuntamento telefonare al 3471584609

E-mail: carmen.digrazia@libero.it

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Manuale dello Spirito Audace

Autore: Lisa Ribechini

Un giorno ti sveglierai e vedrai una bella giornata. Ci sarà il sole e tutto sarà nuovo, cambiato, limpido. Quello che prima ti sembrava impossibile diventerà semplice, normale. Non ci credi? Io ne sono sicuro. E presto. Anche domani.

Fëdor Dostoevskij, Le notti bianche

A pearl is a beautiful thing that is produced by the injury of the oyster. Without the wound, the injury, the pearl may not have come into being”

Stephen Hoeller

Dopo un lutto, un trauma emotivo, una catastrofe ambientale, un malattia, la maggior parte delle persone riesce a superare il dolore in tempi relativamente brevi. Dopo il primo periodo di shock, disorientamento e profonda incertezza, la maggioranza di noi dimostra di possedere una capacità di recupero naturale dinanzi agli eventi peggiori della vita. Ma come avviene nello specifico questo meccanismo di ricompensazione e di riorganizzazione? Alla base della nostra capacità di “rialzarci dopo ogni caduta” esiste un meccanismo psicologico chiamato RESILIENZA.

Tale termine deriva dal latino “resalio”, iterativo del verbo “salio”, che in una delle sue accezioni originali indicava l’azione di risalire sulla barca capovolta dalle onde del mare in tempesta.

Tradizionalmente la resilienza è stata legata agli studi di ingegneria, nello specifico alla metallurgia, dove indica la capacità di un metallo di resistere alle forze impulsive a cui viene sottoposto.

Il termine poi è stato preso in prestito dalla psicologia, dove connota esattamente la capacità delle persone di far fronte agli eventi stressanti o traumatici e di riorganizzare in maniera positiva la propria vita dinanzi alle difficoltà. La resilienza, inoltre, non ci chiede solo di rialzarci anche cento volte se necessario, ma di farlo con intenzione e volontà, con decisa razionalità, poiché è ciò che ci permette di vedere le possibilità offerte dalla “caduta” che, nella maggior parte dei casi, prima non avevamo valutato. La volontà ci rimanda inevitabilmente a quella che già a fine ‘800 Nietzsche chiamava “wille zum leben”, la volontà di vivere, e quindi di trasformarsi, di combattere e di resistere alle avversità e assumere su di sé tutto il peso, ma anche la leggerezza, della piena espressione e consapevolezza delle proprie scelte e decisioni.

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