L’Avventura Terapeutica come Occasione di Nuovi Sguardi

L’Avventura Terapeutica come Occasione di Nuovi Sguardi

Autore: Dott.ssa Marzia Cikada

vedi Blog dell’Autore

 

L’importanza sia nel tuo sguardo, non nella cosa guardata.
André Gide
 

Cosa c’è nelle tasche di chi arriva in terapia? Di tutto. Ci si avvicina ad una scelta così importante e delicata, quella di chiedere aiuto, con moltissime parole diverse, con speranza o desiderio di ritrovarne, con paura come con circospezione.

I pregiudizi sono ancora più di quanti si credono. Non parlo solo di quelli più “noti” e colorati, per cui entrare in una stanza di terapia significa “essere matti” o trovarsi davanti qualcuno che, possibilmente con un solo sguardo, avrà capito tutto di noi. Parlo anche di altri pregiudizi, quelli più sottili e, forse anche per questo, più pericolosi. Ci si avvicina alla terapia, con il pensiero che tutto si risolverà magicamente, senza fare nulla. Sarà tutto merito, o colpa, del professionista di turno che, con qualche frase magica e una mossa ad effetto, saprà trasformare tutto. E ogni cosa sarà di nuovo, o per la prima volta, bellissima.

Ma non è proprio così. Avventurarsi in una terapia significa accettare di tuffarsi in un mare molto spesso agitato e in burrasca. Significa scoprire che nessuna teoria o strategia potrà funzionare sola, se non ci si lavora in due, almeno in due. Il terapeuta, lontano dall’avere formule magiche e poteri extraterrestri, accompagnerà chi si troverà di fianco in un cammino spesso doloroso, ma a volte anche divertente, da dove chi richiede una terapia uscirà da solo ma non solo. Perchè l’accompagnerà l’esperienza vissuta. Se tutto va bene, si avrà una nuova consapevolezza, capace di rendere più responsabili di quello che si fa della propria vita, maggiore attenzione a quello che si muove intorno e nelle giornate, condita da una certa capacità di perdonarsi e canzonarsi anche, se è il caso, senza per questo sentirsi un “non adatto” ai giorni. L’aspetto interessante p che saranno tutte vittorie fatte di fatica. L’ avventura terapeutica diventa un modo per riscoprire il proprio valore, afferrare nuove soddisfazioni ma anche sopportare possano esserci eventuali delusioni. E alla fine, dopo un pezzo di strada comune, sarà possibile uscire dalla stanza di terapia più capaci, più forti anche per aver accolto e imparate ad amare certe piccole debolezze che si reputavano insopportabili o segnale certo di una vita fallimentare.

Il terapeuta, sarà stato capace di prendere per mano la persona incontrata e, laddove la strada si è mostrata dissestata, tenere la presa con più forza.Sarà grazie alla cura con cui si è costruita la relazione terapeutica che renderà possibilesalutarsi, lasciando, spesso entrambi, in uno stato maggiore di salute e benessere.

Nella terapia, come anche nella vita, saranno poi le piccole cose a trasformare le grandi. Al termine di una avventura terapeutica, quello che si avrà non sarà una vita nuova, stirata e pulita, ma il piacere di scoprire come proprio certe imperfezioni la rendano unica anche così, come la si è vissuta. Solitamente si arriva con una visione generale, dentro cui i particolari della storia si perdono, spesso per primi vanno via proprio quelli positivi. Guadagnare un nuovo sguardo significa imparare il candore di un nuovo modo di vedere il proprio mondo. Allora, molto spesso, sarà possibile fare entrare una nuova luce laddove si era lasciato fossero le ombre a farla da padrone.

Un cambiamento di prospettiva che permette di vedere un mondo diverso da quanto si è sempre ritenuto di avere sotto gli occhi. La realtà, cambiando anche solo di poche virgole, di trasforma, pur lentamente, in altro da quanto si è sempre ritenuto fosse. Il mondo diventa meno crudele, difficile, castrante. Le parole da usare arrivano, prima una alla volta, poi con maggiore facilità, in gruppi via via più numerosi. Allora diventa possibile creare nuovi discorsi e frasi che non si pensava di poter dire, mettere in azione nuovi gesti che vanno a costruire un nuovo mondo. Ma non è il mondo a cambiare. Imponente e spesso in tutt’altri problemi affaccendato, il mondo non ha molto tempo a dare spazio alle storie e ai dolori di ognuno. E’ ognuno che deve imparare ad esercitare il suo diritto ad un nuovo sguardo. Proprio a partire dalle piccole cose.

doodle-di-javier-perezNello scorso gennaio, la poesia di un artista ecuadoriano, aveva colpito la mia fantasia. Lui èJavier Perez, un graphic designercon la passione per i lavori semplici. Una delle sue idee è quasi geniale nel suo essere minima. Prende una piccola cosa, un frutto, una spilla, una matita, un fiore ( come nella foto a lato) e ci crea un disegno intorno. Il suo sguardo non cerca monumentali opere, ma minuscole immagini prese dal quotidiano. La realtà e il suo tratto, insieme, si trasformano in qualcosa di nuovo. Cosa c’entra con un piccolo discorso come questo sulla terapia? Molto.

La capacità di vedere nelle piccole cose che si vivono ogni giorno, delle possibilità, andando oltre la loro semplice immagine, spesso piena di limiti imposti da noi stessi, è l’inizio del cambiamento. Una emozione non ascoltata diventa un pericolo per il nostro star bene, ma se gli diamo voce e ascoltiamo quanto vuole raccontarci, raramente ci deluderà. Potrà far male, potrà essere dura o, al contrario, sarà una esperienza illuminante, in ogni caso, sarà una vittoria sul silenzio, sul monito all’immobilismo che spesso la paura lascia prenda piede sulla  vita, impedendo il cambiamento, rendendo infine inimmaginabile qualsiasi altra strada se non quella percorsa tristemente. Per molte storie, la terapia offre l’occasione di guardare diversamente quanto si riteneva noto e lo trasforma in  sorpresa. Come piccoli oggetti a cui viene data, con poche linee e una manciata di creatività, la possibilità di diventare piccole opere nuove.

 
Pollicino: Chi si avvicina ad una avventura terapeutica
L’Orco : Perdere la visione delle piccole cose
L’arma segreta :  Costruire un nuovo modo di guardare al mondo partendo anche da piccole cose
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Week-end Pils

traduzione ad opera di Antonietta Muccio

  • Un moderato esercizio fisico sembra prevenire episodi di depressione nel lungo termine, suggerisce una meta-analisi di 30 studi condotti in 26 anni. I ricercatori della University of Toronto trovarono che anche un basso livello di attività fisica – come camminare o fare giardinaggio per 20 o 30 minuti al giorno – può allontanare la depressione in persone di tutti i gruppi di età (American Journal of Preventive Medicine, Novembre).

 

  • Parlare una seconda lingua può ritardare l’inizio della demenza, trova la ricerca condotta al Nizam’s Institute of Medical Sciences in India. In una recensione di casi registrati di 648 persone, controllati per educazione, genere occupazione e altri fattori, i ricercatori trovarono che le persone che parlavano due lingue sviluppavano la demenza in media di 4.5 anni più tardi rispetto a coloro che parlavano una sola lingua (Neurology, online Nov. 6).

Fonte: Monitor on Psychology – A pubblication of APA. January 2014 – VOL. 45 – NO. 1. Traduzione dell’articolo: “In Brief. Snapshots of some of the latest peer-reviewed research within psychology and related fields.” (pp.16-19).

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Week-end Pils

traduzione ad opera di Antonietta Muccio

  • La luce solare può abbassare la prevalenza del disturbo da deficit di attenzione/ iperattività, ha trovato lo studio condotto dagli psicologi alla Utretcht University in Olanda. I ricercatori mapparono il numero di diagnosi di ADHD all’interno degli Stati Uniti e in nove altri Paesi e confrontarono questi dati con l’intensità della luce solare che queste regioni ricevono tutto l’anno. Le regioni con maggior sole, come l’Arizona, la California ed il Colorado, avevano tassi di diagnosi di ADHD che erano circa la metà delle regioni che ricevevano minor luce solare, come gran parte del nord-est degli Stati Uniti (Biological Psychiatry, Ott. 15).
  • Le persone sembrano più attraenti in gruppo rispetto a quando sono sole, in accordo con la ricerca condotta dagli psicologi della University of California, San Diego. In cinque esperimenti con 130 studenti universitari, gli scienziati mostravano ai partecipanti immagini di 100 persone – metà in un gruppo ritratti con altre due persone e l’altra metà tagliate per mostrare la persona da sola. I partecipanti valutavano sia soggetti maschi che femmine come più attraenti nel gruppo rispetto a quando erano soli. In molti altri esperimenti, gli scienziati trovarono che le immagini non avevano bisogno di provenire da un ritratto di  gruppo coeso per ottenere questo effetto. Quando ai partecipanti era chiesto di valutare il fascino di una persona fuori dal collage di quattro, nove e sedici immagini, l’immagine “gruppo” era ancora valutata superiore rispetto a quando l’immagine individuale era presentata da sola (Psychological Science, online Ott. 25).

Fonte: Monitor on Psychology – A pubblication of APA. January 2014 – VOL. 45 – NO. 1. Traduzione dell’articolo: “In Brief. Snapshots of some of the latest peer-reviewed research within psychology and related fields.” (pp.16-19).

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Costruire un Cervello Migliore

traduzione ad opera di Ileana Sestito

Già nel 1950, lo psicologo David Krech prevedeva la forza e il pericolo del potenziamento cognitivo- previsione che riguardava la vita di oggi.

(Barbara Lusk)

Facendo una ricerca in Internet su “incremento della memoria”, “pillole intelligenti” o “potenziatori cognitivi” si nota come vi sono stati dai 2 milioni ai 3 milioni di visualizzazioni. Pagine che offrono prodotti per migliorare la memoria, “Ginseng” o “ginkgo biloba” hanno ottenuto per ciascuna più di 50 milioni di visite. Al supermercato dozzine di prodotti sono commercializzati come “potenziatori per il cervello” e sono offerti a prezzi modesti. Il potenziamento cognitivo è ormai un’industria da miliardi di dollari. La convinzione che varie erbe e pozioni possono migliorare la memoria e le funzioni cognitive risale all’antichità. Ma è stato a partire dalla metà del XX secolo che gli scienziati, avvalendosi di nuovi modelli e tecniche, hanno compiuto dei seri progressi nel svelare il mistero della memoria. Nel 1968, osservando la fiorente letteratura in materia, lo psicologo sperimentale David Krech, dell’Università di Berkeley, California, aveva già ottimisticamente affermato che dal XXI secolo, educatori e genitori avrebbero potuto benissimo avere una nuova “psiconeurobiochemofarmacopia” un elisir che avrebbe potuto migliorare l’apprendimento, la memoria e forse anche l’intelligenza. Tuttavia, le preoccupazioni etiche di tali trattamenti temprarono l’ottimismo di Krech. Cosa aveva alimentato l’ottimismo e allo stesso tempo la diffidenza di Krech? Prima del 1955, era difficile trovare laboratori, che trattavano la relazione tra cervello, biochimica e comportamento. Unica eccezione è stata la ricerca in ambiente arricchito iniziata nel 1951 da Krech e i suoi colleghi a Berkeley, che in qualche forma, continua in altri laboratori anche oggi. Questi primi esperimenti cercarono di scoprire che cosa si verificava nel caso di cambiamenti della struttura e della funzione del cervello  in una dozzina di topi allevati insieme in un ambiente ricco di giocattoli e opportunità di esplorazione e problem solving. Scoprirono che questi topi, rispetto ai loro gemelli isolati in gabbia e privi di compagni di giochi e materiali stimolanti, avevano cortecce significativamente più pesanti e più profonde e una più alta attività neurochimica. Una seconda ricerca in parallelo nel 1950, che creò ancora più scalpore, era incentrata sul ruolo dell’acido ribonucleico (RNA) nei processi di apprendimento e memoria. Il neurobiologo Holger Hyden dell’Università di Goteborg, riferì che i topi addestrati a stare ad esempio in equilibrio su un filo e addestrati in altri compiti, avevano avuto un aumento in una forma leggermente modificata di RNA nei loro cervelli, e che di fatto la sintesi di RNA accompagna l’apprendimento. Profondamente consapevoli sia dell’importanza di base che di quella applicata di questo lavoro, i ricercatori presso le università e le aziende farmaceutiche precisarono subito che nell’esperimento durante il training , la manipolazione della sintesi di RNA- ossia la sua inibizione o accelerazione, comprometterebbe l’acquisizione di ricordi.

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Dillo che ti Passa! Come il Coming Out migliora la Salute

Dillo che ti Passa! Come il Coming Out migliora la Salute

Autore: Dott.ssa Marzia Cikada

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Continuavo a dirmi che il cielo era rosso, ma ho sempre saputo che era blu. Nessuno vuole vivere nel terrore, ma io ho sempre avuto paura di dire la cosa sbagliata. Non dormo bene, non ci sono mai riuscito. Ma ogni volta che lo dico a qualcuno, mi sento più forte e riesco a dormire un pochino meglio. Serve un enorme quantitativo di energia per difendere un segreto così grande. Ho vissuto a lungo in una bugia. Ero certo che il mio mondo sarebbe crollato se qualcuno avesse saputo. Eppure quando ho finalmente capito la mia sessualità mi sono sentito completo per la prima volta.
Jason Collins, (primo cestita americano a parlare della sua sessualità)
 

Coming Out” significa, letteralmente, “uscire fuori”. In principio, la frase per intero era Coming Out of the closet  ( Uscire dall’armadio o ripostiglio) ed indicava il dichiarare il proprio orientamento sessuale o la propria identità sessuale, uscendo dal buio e dal silenzio del timore, del giudizio, del pregiudizio, della reazione altrui. Venire allo scoperto è per moltissime persone un passo non facile. Specialmente quando si parla di sesso, dire a tutti “amo gli uomini”, “amo le donne” o “mi sento uomo o donna” significa parlare di sé ed essere pronti alle reazioni, non sempre positive.

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