DIVORZIO…Quando i rapporti finiscono.

Autore: V. Masini, E. Mazzoni, I. Barbagli

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Arriva un bel giorno che vivere insieme diventa un inferno. Una unione che sembrava indistruttibile poco alla volta o all’improvviso salta, crolla come un gigante con i piedi d’argilla. I motivi possono essere tantissimi: tradimento, violenza, mancanza di entusiasmo e di passione, noia, incomprensione, difficoltà economiche, calo della libido. Il divorzio, anche se non fa più notizia, non riguarda esclusivamente il puro e semplice scioglimento del vincolo matrimoniale, ma coinvolge aspetti emotivi particolarmente dolorosi – difficili da gestire – quali ad esempio abbandono, distacco e separazione; l’addio innesca una infinità di problematiche psicologiche e pratiche (il tutto deve essere affrontato immediatamente). 

… la coppia è una struttura sociale, un legame affettivo, costituita da due soggetti di sesso diverso (coppia eterosessuale) o uguale (coppia omosessuale), può essere formata da due partner con personalità similare (speculare) oppure diversi tra loro (complementare)… nasce solitamente da passioni, dall’attrazione sessuale, dalla convenienza e da incontri casuali… con la nascita della coppia inizia la navigazione che può avvenire in un clima tempestoso, tranquillo, eccitante, stimolante, creativo, pieno di avversità…il rischio maggiore, in questa organizzazione, se spinta agli estremi, è quello di sviluppare forme di dipendenza e un forte sentimento di gelosia.

“Divorziare in allegria” è sicuramente uno slogan per qualche commedia popolare e, comunque, stando ai dati oggettivi è sicuramente una locuzione decisamente anacronistica. In questo fenomeno, se si presta attenzione, la vera sofferenza non si concretizza automaticamente con la separazione, ma l’infelicità era già presente quando la coppia, a se stessa e agli altri, si sforzava di dire “E’ tutto normale, tutto funziona alla meraviglia… ma certamente, tutto come prima”: il rapporto era già una prigione invisibile, un’atmosfera di perenne tensione, in breve un fenomeno di sofferenza per entrambi i coniugi. 

La noia e l’abitudine sono fenomeni insidiosi che minano il legame a due perché rendono la vita piatta, annullano la sessualità, la novità è inesistente, i discorsi e le scelte, sempre più rari, diventano casi eccezionali … è un rapporto troppo prevedibili e scontato… manca di entusiasmo e di originalità… porta ad una vita sessuale modesta se non addirittura inesistente… così più la sessualità si intorpidisce più nella coppia si crea un profondo distacco che si acuisce a letto, rendendo tale gesto più frettoloso e sempre più insignificante il rapporto interpersonale.

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Le nostre storie, noi stessi

traduzione di Ileana Sestito

Le storie che raccontiamo detengono una potente influenza sui nostri ricordi, comportamenti e persino sull’ identità, secondo la crescente e rapida ricerca sul campo della psicologia narrativa.

By Sadie F. Dingfelder

Uno dei più recenti luoghi di tendenza di Washington, DC non è un ristorante o un bar alla moda. Piuttosto, è un luogo dove persone ordinarie, alcune visibilmente nervose, fanno un passo sul palco e raccontano la storia della loro vita. Spesso sono le persone più inaspettate che raccontano le più avvincenti, esilaranti e strazianti storie, dice Amy Saidman, capo della SpeakeasyDC, il gruppo teatrale no-profit che gestisce l’evento. “E’ un mito che le persone che salgono sul palco sono tutte estroverse”, dice Saidman. “Tutti abbiamo storie da raccontare e sono fatte per le persone che ascoltano.” Questa è una osservazione astuta, dice Dan McAdams, professore di psicologia della Northwestern University che ha trascorso l’ultimo decennio sistematicamente e quantitativamente a studiare storie. Quando le persone trasformano gli episodi della loro vita in aneddoti, non è solo per intrattenere gli amici, dice McAdams. Le storie ci permettono di dare un senso agli eventi altrimenti sconcertanti o casuali. “Le storie ci aiutano ad appianare alcune delle decisioni che abbiamo preso e creare qualcosa che sia significativo e sensibile, fuori dal caos delle nostre vite”, dice McAdams. I ricercatori hanno trovato che le nostre storie possono anche plasmare il nostro futuro. In particolare, raccontare storie che rivelano delle lotte possono ben dare alla gente la speranza di cui hanno bisogno per vivere una vita produttiva. E le storie che descrivono vividamente delle turbolenze sembrano aiutare le persone a crescere in modo più saggio all’indomani delle grandi sfide della vita. La ricerca di John Holmes, un professore di psicologia presso l’Università di Waterloo, ha trovato, che il potere della narrazione, tuttavia, non è sempre positivo: raccontare storie del vostro coniuge che si concentrano su tratti negativi, per esempio, possono portare a dimenticare i tratti positivi che si usano per amare. “Bene o male, le storie sono una fonte molto potente di auto-persuasione, e sono altamente coerenti internamente”, dice Holmes. “Evidente che se la storia non si adatta viene lasciata alle spalle.”

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Il Processo del Morire e l’Elaborazione del Lutto

Autore: Vincenzo Masini

vedi Sito Web

 

Far emergere gli immaginari sulla morte

Nel lavoro di counseling è frequente l’incontro con profonde sofferenze psichiche dei clienti collegate alla mancata elaborazione di lutti, anche antichi, rimasti incistati nel vissuto delle persone che continuano a produrre stati di sofferenza.

Spesso molte persone sono inconsapevoli dell’origine del loro disagio e non è infrequente osservare l’emergere nella loro storia di vita di lutti che hanno assunto la forma di copioni di rabbia, di dolore, di angoscia, di depressione, di abbandono, di perdita, di ossessione o di fissazione su qualche aspetto particolare del loro comportamento.

Per l’elaborazione del lutto spesso è necessario aprire con le persone una discussione sulla morte costruendo un clima di confidenza tale da consentire l’espressione degli immaginari che ciascuno possiede ed ha formulato dentro di sé sul morire e su cosa succede dopo la morte.

Tutti gli esseri umani hanno idee, inconfessate anche nelle relazioni più intime, sul destino della loro identità psichica e molte di queste sono cariche di angoscia, o di speranza, a seconda dello stato psichico e delle personalità individuale.

E’ del tutto errato pensare che una visione positiva o negativa della morte dipenda da certezze, religiose o spirituali, acquisite e apprese attraverso la partecipazione a contesti di fede religiosa. I contesti di appartenenza religiosa trasmettono indicazioni di comportamento morale, funzionali alla vita di relazione sociale, ed è sulla base dell’osservanza di tali comportamenti che le persone fondano un’attesa fiduciosa della propria immortalità e del meritato paradiso.

In realtà l’angoscia di morte agisce profondamente sulle persone che non hanno mai volutamente affrontato tale tema dentro di sé preferendo rimuoverlo e affidarsi acriticamente ai suggerimenti ed alle teorizzazioni altrui.

La mancanza di una profonda riflessione sulla morte produce due conseguenze: l’emersione drammatica della paura della morte nelle persone che stanno per sperimentare tale evento, l’incapacità di elaborare il lutto per la perdita di una persona cara.

Per questa ragione è indispensabile che il counselor abbia sviluppato competenze psicologiche ed elaborato le sue esperienze di lutto e di morte ove voglia essere di aiuto sia ai morenti che alle persone che hanno bisogno di elaborare un lutto.

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Fobia… il mondo fa paura

Autore: Claudio Bonipozzi

vedi Sito Web http://ilfarodelcamminointeriore.blogspot.it/

 

Definizione. La parola fobia (dal greco antico phobos significa timore, paura, avversione, fuga, ripugnanza) indica un sentimento di paura intensa, inquietante, devastante e invincibile provocata da oggetti o situazioni che normalmente non dovrebbero spaventare o preoccupare molto. In realtà, più che di paura, spesso si tratta di vere crisi di angoscia grave che si manifestano ogni volta che l’individuo fobico si trova in quella peculiare situazione. E’ bene ricordare, tuttavia, che la paura rientra nell’esperienza umana universale e che l’essere umano cerca, proprio per il grado di sofferenza che essa provoca, di evitarla il più possibile.La fobia si concretizza in paure irrazionali di fronte a particolari eventi o situazioni. A scatenare la reazione personale può essere un singolo oggetto o animale. In certi casi l’ansia cresce anche al solo pensiero della cosa temuta… quanto la paura diventa irrazionale e non è soggetta a controllo della volontà, ci troviamo di fronte a un tipo di reazione patologica.In genere, la paura è la risposta emotiva a un pericolo incombente riconosciuto e identificato nel proprio ambiente esterno: è una condizione di apprensione, di malessere, ma di cui si ha perfettamente consapevolezza dell’oggetto. Quando, invece, questa paura diventa “irrazionale” e non è soggetta al controllo della volontà, ci si trova di fronte a un tipo di disagio chiamato fobia. La fobia, dunque, è sì una reazione di paura, ma ossessiva, irreale, inappropriata, irragionevole e irrazionale (l’individuo non riesce a controllarla e spiegarla in modo adeguato e logico). L’evitamento, nel luogo, nel modo e nel momento opportuno, aiuta a tenere lontano il male. Quando però la paura è sproporzionata al pericolo effettivo e provoca uno stato d’ansia paralizzante e comportamenti di evitamento non giustificati siamo di fronte ad una fobia di rilievo clinico.Possiamo già osservare una differenza tra paura e fobia: la paura può essere considerata un’emozione vantaggiosa e necessaria per la sopravvivenza, la fobia al contrario, ostacola l’individuo anche nelle sue attività più semplici, più elementari (condotta di evitamento). Riassumendo possiamo dire che la fobia è un complesso di sentimenti, un misto di paura fino al terrore e di ripugnanza sino all’orrore nei confronti di un animale, di una situazione o di un oggetto che di per sé normalmente non provoca queste esagerate reazioni emotive. Il soggetto è consapevole della anormalità, del suo stato d’animo e mette in atto un comportamento di evitamento nei riguardi di quegli stimoli. Chi soffre di fobia generalmente non si sente compreso dagli altri, che possono essere anche molto critici nel giudicare i suoi comportamenti bizzarri, immotivati, assurdi, ridicoli. Lo considerano debole, impotente e non in grado di auto controllarsi In tutti i casi di fobia, la persona che soffre (individui il più delle volte intelligenti e sensibili) si rende perfettamente conto che si tratta di paure esagerate (con azioni irragionevoli), ma l’angoscia è tale che non può dominarle con la forza di volontà. I tentativi di ragionamento e persuasione (anche da parte dei familiari, di esami clinici negativi) non servono a nulla, anzi aggravano la sofferenza del paziente perché lo fanno sentire inutile, inadeguato, impotente, incapace di vincere i suoi sintomi, ma soprattutto lo colpevolizzano inutilmente. Non è difficile comprendere il modo di reagire di una persona fobica. Si tratta dell’espressione più appariscente di un’insicurezza peraltro assai comune che può essere più frequente nell’età infantile. La paura del buio, della solitudine, di certi animali o di certe persone conosciute sono tutte paura nelle quali si mascherano le angosce che appartengono proprio a questa fase evolutiva, a questo sviluppo psichico dei bambini. L’angoscia, tanto grande da paralizzare, da distruggere, non fa che rafforzare la fobia: il solo pensiero dell’oggetto perturbante fa cadere nel panico, in un’inquietudine irrefrenabile… la sofferenza è indicibile, si è insicuri, ansiosi presi da una preoccupazione eccessiva, spinge a un ossessivo controllo su ogni azione, ogni impulso: non ci si può non sentir male, e allora diventa inevitabile nascondersi, sprofondare nel proprio baratro di irrealtà.Quando le fobie si ingigantiscono e dominano gran parte della vita dell’individuo, stanno a significare che l’insicurezza nel rapporto con l’ambiente circostante e con le proprie azioni è fonte di angoscia profonda, tale da costituire una gabbia dalla quale non si esce se non a prezzo di gravi sofferenze. Infatti, nei casi più seri questo malessere limita fortemente la libertà del paziente che è costretto ad organizzare ogni aspetto della sua vita in modo da prevenire ogni occasione di angoscia (fobica).

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Madre, Figlio e Training Autogeno

Autore: Dott.ssa Sara De Maria

vedi Blog dell’Autore

 

In questi giorni, una coppia composta da madre e figlio, sta terminando un corso di Training Autogeno . Hanno scelto l’opzione 1+1 perché la modalità di gruppo non era per loro possibile a causa degli orari ed entrambi desideravano apprendere il metodo.

La mamma è una signora in pensione con qualche problema di pressione alta e difficoltà nel ciclo sonno-veglia. Il figlio (poco più di quarant’anni) svolge un lavoro con turni molto impegnativo e denso di responsabilità, spesso lo stress lavorativo lo accompagna a casa ed ha pensato che il Training Autogeno potesse aiutarlo a staccare e rigenerarsi.

Il mio compito, come operatrice di Training Autogeno, è quello di insegnare il metodo e rendere indipendenti i praticanti, così che possano utilizzarlo ovunque ed in qualsiasi momento.
Insegno il Training Autogeno da diversi anni ormai e ho incontrato davvero tante persone che hanno voluto impararlo. Anche se questo è un metodo standardizzato, con dei passaggi specifici sempre uguali, resto ogni volta meravigliata dalla specificità nell’apprendimento di ogni allievo. Ognuno fa un percorso diverso, ognuno sviluppa competenze nuove in modalità assolutamente proprie.

Questo a cui faccio riferimento è un caso un cui la differenza dei percorsi è particolarmente evidente.
La mamma, è venuta con l’obiettivo di tenere maggiormente a bada la pressione e avere un sonno più riposante. Il figlio per “ripulirsi” dallo stress del lavoro.

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