Dic 12, 2014 | Psicologia |
Autore: Dott. Giovanni Iacoviello
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“Ma le canzoni / son come i fiori / nascon da sole / e sono come i sogni / e a noi non resta /
che scriverle in fretta / perché poi svaniscono / e non si ricordano più”
Vasco Rossi, Una canzone per te
Dove troviamo tempo per generare buone idee per migliorare il nostro lavoro, o per promuoverlo, se siamo già tanto impegnati a lavorare? E se non siamo nati con la predisposizione per la creatività?
Edward de Bono: possiamo essere tutti creativi sin da piccoli.
L’esperto mondiale di creatività fa notare che essa non è relegata solo all’arte e a certe persone, ma può essere incentivata nei risultati (creazione di nuove idee) imparando i giusti procedimenti a tutte le età: “Allo scopo di riuscire a servirsi della creatività, si deve liberarla da quest’aura di misticismo e considerarla come un modo di usare la mente, un metodo di trattare le informazioni”.
I processi automatici e la generazione di idee.
Quando siamo impegnati in un lavoro, se non dobbiamo impiegare tutta l’attenzione per apprendere nuove procedure, ma utilizziamo schemi motori ben appresi e quindi automatici, la nostra mente può vagare nei pensieri. Pare che il biochimico americano Kary Mullis abbia avuto l’idea del metodo di amplificazione del Dna per gli esami di laboratorio, che gli valse il Nobel, mentre guidava lungo un rettilineo (che non vi venga in mente di lavorare a un’idea mentre guidate: un conto è se l’idea vi arriva da sola, un conto è se cercate attivamente di farvela venire, il che è pericoloso se siete alla guida). Se il lavoro è semplice e a basso rischio, e ripetitivo (come ad esempio inscatolare del materiale o assemblare degli oggetti, o fare esercizio fisico) può capitarci di ripensare ad alcuni momenti della giornata, oppure a problemi che dobbiamo risolvere, o a impegni che dobbiamo organizzare, e magari ci può venire un’idea.
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Dic 11, 2014 | Psicologia |
Autore: Dott.ssa Marzia Cikada
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Il problema non è mai come farsi venire in mente qualcosa di nuovo e innovativo ma come eliminare le convinzioni vecchie.
Dee Hock
Stavo per parlare d’altro oggi. Poi ho letto un articolo del 30 novembre sul Sole 24 Oreche parlava di Psicologia ed Economia. Non posso lasciar perdere, ho pensato. Devo parlarne. E’ economicamente utile che io lo faccia. Per diversi motivi, per altro. Primo perchè sembra ai più che la Psicologia si occupi solo di quanto accade dentro le relazioni, mentre invece si occupa anche di quanto gli gira intorno e molto spesso anche senza focalizzarsi sul sano/patologico in genere. Secondo? Perchè quello che si è detto spesso nelle pagine di questo Blog. Rispetto al come il male minore, molto spesso, sembra restare nello status quo, di come il vero male sia aggrapparsi al “mal comune mezzo gaudio” per poi scoprire che nessuno ne è poi realmente contento.
Insomma, perchè questo articolo mi ha colpita? Si parla di come si sia creato (a parole dell’autore Bastatin) un vero e proprio “malessere italiano” un fenomeno tutto nostro che non è solo legato alla “crisi”, all’economia, ma ha ormai radici anche nella psiche. Quello che inquina la possibilità di ripresa del paese è anche ( non solo, sia chiaro) uno stato depressivo latente, in cui prolifica un sentimento asociale che parte dal singolo ma ferisce la collettività intera nei suoi risultati. Per esempio? Portando, risorse utili fuori dai confini nazionali come la famosa “fuga dei cervelli” ma anche solo la fuga dei più giovani. O anche, la difficoltà ad investire nel presente che è vissuto come spaventoso e ingiusto, lesinando in tutto.
La crisi del 2008 è stata come una malattia che incontra un corpo, in questo caso un paese, con pochi anticorpi, trovandolo pronto a star male. L’Italia non era un paese sereno quando tutto questo è iniziato, si era ancora feriti dagli scandali politici precedenti e ancora con poca volontà di riprendersi del tutto da quel passato malore. In effetti, oggi, gli italiani sono sfiduciati, considerano il paese poco credibile, corrotto ( e come dargli spesso torto), hanno paura del futuro, non vivono il presente, non riescono ad avere progetti. Insomma, quale ripresa è possibile se non si cerca di trasformare il substrato su cui certe emozioni trovano foraggio? Pochi sogni, autostima bassa, rassegnazione, la soddisfazione di piccoli desideri da realizzare subito, piuttosto che un faticoso e rischioso investimento sul futuro.
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Dic 10, 2014 | Psicologia |
Autore: Dott.ssa Marica Vignozzi
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Condivido con voi un video molto bello che parla di generosità e amore verso il prossimo.
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Dic 8, 2014 | Psicologia |
Autore: Dott.ssa Emanuela De Bellis
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Nella mia esperienza clinica, i genitori dei piccoli pazienti si dividono in due grandi categorie: quelli in difensiva e quelli in resa incondizionata.
I primi giocano in anticipo su tutte le accuse che possono essere volte loro: per ogni comportamento che trovano disfunzionale aggiungono la postilla “che poi è normale”; insieme ai racconti portano prove indiziarie sulle colpe di coniugi, nonni, insegnanti o altre figure, di riferimento o non, ma imputabili dei capi di accusa. A volte esordiscono con la frase “Lei mi dirà che sbaglio, ma io so che è meglio così”. Il punto centrale a cui ruotano i loro discorsi è che, cascasse il mondo, no, non è colpa loro se il figlio sta così.
Quelli appartenenti alla seconda tipologia, invece, arrivano fin dalla prima seduta con la testa bassa. Durante la raccolta anamnestica, rivelano le loro colpe, snocciolandole con cenni del capo vergognosi: “L’ho allattata fino ai due anni e mezzo… lo so che è troppo….”, “Dorme ancora con noi… sbagliamo su tutto…”, “La chiamiamo con un nomignolo… abbiamo distrutto la sua identità…”
Quando cerchiamo alternative per trasformazioni nel comportamento, se per esempio proponiamo un comportamento B in sostituzione a uno A, per vedere come va, la loro prima domanda è “Allora abbiamo sbagliato finora a fare A?”.
Manca solo che, arrivando in seduta, consegnino volontariamente la frusta al terapeuta perla successiva fustigazione.
Entrambi i tipi hanno una cosa in comune: sono strasicuri che io troverò degli errori in ciò che hanno fatto (Leggi pure “7 falsi miti della figura dello psicologo. Il giudice.”) Ancora peggio, sono convinti che nel fare il genitore ci siano dei comportamenti giusti e dei comportamenti sbagliati. Sono vittime del “Metodo del buon genitore”.
In seguito alla pubblicazione di un’enorme quantità di libri di psicologia e pedagogia divulgativa, pieni di consigli fai da te per la genitorialità, si è diffusa la convinzione che per essere buoni genitori ci si debba mettere a studiare: e da qui il fiorire di filosofie e scuole di pensiero. Dall’accudimento ad alto contatto ai genitori efficaci, dalla token economy ai time out, ogni filosofia spiega ai genitori quali siano gli atteggiamenti disfunzionali e quali le buone pratiche, portando a proprio sostegno dati statistici. Purtroppo la statistica è una scienza oscura alla maggior parte dei lettori, a cui basta leggere che una percentuale dei detenuti a Rebibbia da piccoli dormiva poco per concludere che il proprio figlio che non va a letto prima delle dieci e mezza diventerà un delinquente…
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Dic 7, 2014 | Psicologia |

La metamorfosi è il racconto più noto dello scrittore boemo Franz Kafka. L’opera, il cui titolo in tedesco è Die Verwandlung, è stata pubblicata per la prima volta nel 1915 dal suo editore Kurt Wolff a Lipsia.
La storia comincia col protagonista che, risvegliatosi una mattina, si ritrova trasformato “in un gigantesco insetto”: la causa che ha portato ad una tal mutazione non viene mai rivelata. Tutto il seguito del racconto narra dei tentativi compiuti dal giovane Gregor per cercar di regolare – per quanto possibile – la propria vita a questa sua nuova particolarissima condizione, soprattutto nei riguardi della famiglia, i genitori e la sorella.
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