Motivazioni Psicologiche dei Ritardatari Cronici

Autore: Dott.ssa Simona Esposito

 

A volte il ritardo è causato dal non aver sentito la sveglia, dal traffico, nel aver perso il treno ma quando il ritardo è cronico bisogna andare a vedere le motivazioni sottostanti.  Quindi non può essere spiegato con la distrazione o con una casualità ripetuta, il ritardo è il più delle volte un messaggio importante o un’espressione di un qualche disagio che viene negato anche a se stessi, bisogna andare a vedere le motivazioni inconsce.

Quando si è dei cronici ritardatari e non si riesce a modificare questo comportamento occorre, per essere puntuali, comprendere l’origine della mancanza di puntualità, un lavoro che si può fare con l’aiuto dello psicoterapeuta. In genere ritardatari sono coloro che hanno una personalità fragile e insicura che utilizzano il ritardo come uno stratagemma per affermare se stessi. Il ritardo può essere visto come una richiesta di attenzione, come l’affermazione della propria indipendenza, come ribellione… Vediamo, infatti, che spesso i ritardatari hanno avuto uno schema educativo molto rigido in cui era presente una richiesta di non deludere le attese, così l’individuo con il tempo ha trasferito inconsciamente il suo senso di oppressione su altre persone che appaiono richiedenti, sia nei rapporti professionali che privati. Per cui l’individuo utilizzerebbe il ritardo e il rifiuto della puntualità come forma di ribellione all’obbedienza. Poiché l’essere in un certo posto ad una certa ora risulterebbe un obbligo e una limitazione alla propria libertà.

Altre volte il ritardo è la manifestazione inconscia del rifiuto di fare cose che non si vogliono fare, è la messa in atto di un rifiuto e di uno scarso interesse. In altre circostanze il ritardo indica il volersi prendere del tempo per se stessi.

Chi è spesso in ritardo ha magari una giornata piena di impegni a cui non può mancare e ha la sensazione inconscia di non essere padrone della propria vita e del proprio tempo; per cui il ritardo diviene la forma inconscia di protesta, nel tentativo di riprendersi, almeno parzialmente, quel tempo che gli impegni della giornata sottraggono.

Un’altra motivazione inconscia del ritardo è il desiderio di attirare l’attenzione degli altri su se stessi: chi arriva in ritardo ad un occasione importante ha spesso gli occhi di tutti puntati su di se. A livello inconscio, il ritardo può essere un modo di mettere alla prova l’amore di amici e conoscenti. E’ un po’ come se noi ci dicessimo: “Vediamo un po’ se ci tengono a me, se mi aspettano, allora sono importante per loro”, il ritardatario impone a chi lo aspetta di pensarlo e desiderarlo.

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Un «Freudismo» Critico

Autore: Dott. Sandro Marano

 

Le teorie di Freud sono state spesso, e continuano ad esserlo, fraintese, o semplificate; si sente spesso affermare che sono superate, sbagliate, infondate (ricorrono anche affermazioni molto peggiori sulla persona di Freud, che non meritano nemmeno menzione). Forse hanno avuto il difetto di andare contro il senso comune (di fine ottocento): ma anche la scienza lo fa, anzi, più  progredisce più si allontana dal senso comune, dalle apparenze sensibili. L’ultima parola spetta sempre alla conferma sperimentale: fino a quando una teoria non è confermata da esperimenti o osservazioni inconfutabili, resta una ipotesi provvisoria, a prescindere dalla sua minore o maggiore credibilità o vicinanza al pensiero comune.

Dal punto di vista scientifico quindi, ciò che conta è che le teorie freudiane possano essere organizzate in un linguaggio coerente, chiaro e preciso, tale da consentirne la verifica nell’ambito che è loro proprio, cioè quello delle neuroscienze. Ed è esattamente ciò di cui si occupa oggi la cosiddetta ricerca concettuale, cioè l’insieme degli studi sperimentali a supporto dei fondamentali concetti freudiani.

Inoltre, su di un piano strettamente clinico, ciò che conta è quanto del sistema teorico freudiano possa oggi fornire un modello credibile (in base sia al pensiero comune che alla comune esperienza psichiatrica) del funzionamento psichico, normale ed anomalo, nella vita quotidiana come soprattutto nell’esperienza psicoanalitica.

Se Freud non ha inventato l’idea di una mente inconscia, già nota prima di lui, l’ha sicuramente resa operativa ed utilizzabile in psicoterapia, mettendo in evidenza: che i processi inconsci, oggi ampiamente confermati dalla ricerca neuroscientifica, non sono soggetti all’usura del tempo, e che il passato si ripresenta costantemente nel presente; che quello che una persona non sa o non dice di sé viene rappresentato nel comportamento («agito»), soprattutto nel rapporto con l’analista («transfert»), viene attribuito agli altri («proiettato»), viene strenuamente, e paradossalmente, difeso («resistenza») o trasformato in altro tramite una serie di operazioni mentali («meccanismi di difesa»), viene dimenticato («rimosso»); e che tutto ciò che una persona (paziente) nasconde a sé stessa può essere osservato, o più spesso inferito tramite ipotesi di probabilità secondo un principio di causalità multipla non-lineare, da un’altra persona (analista) in un ambiente idoneo (il setting) e tramite una serie di regole interpretative. In sostanza, Freud ha inventato la psicoterapia.

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Dott. Sandro Marano

Laureato in Medicina e Chirurgia, Università “La Sapienza”, Roma, 1981.

Master sulle tossicodipendenze, Istituto Superiore di Studi Socio-Sanitari, Roma, 1983.

Master in Medicina Sofrologica, Scuola di Sofrologia, Roma, 1986

Specializzazione in Psicoterapia, Istituto IPA – Sullivan, Firenze, 1989

Specializzazione in Psicologia Medica, Università di Siena, 1990

Iscrizione all’Albo degli Psicoterapeuti dell’Ordine dei Medici della provincia di Fermo.

Socio OPIFER (Organizzazione Psicoanalisti Italiani – Federazione e Registro)

 

Attività professionali

Medico di medicina generale dell’Area Vasta n. 4 di Fermo, Regione Marche.

Libera professione in Psicoterapia ad indirizzo psicoanalitico.

 

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La Solitudine del Rigorista

Autore: Dott. Stefano Virgili

 

Quando l’arbitro fischia indicando il dischetto tutti si sentono più sollevati: tifosi, calciatori e staff tecnico della squadra che ha guadagnato il calcio di rigore. Poco importa se l’azione si è svolta in modo alquanto dubbio e il direttore di gara è circondato dai giocatori avversari con fare minaccioso.

I giocatori in campo si abbracciano quasi come aver realizzato un gol.

Tutti felici.

Tranne uno: il rigorista. Che si appresta ad affrontare una prova senza appello.

E’ consapevole di assumersi una pesante responsabilità: se segnerà avrà fatto soltanto il suo dovere, se sbaglierà sarà sempre ricordato come colui che ha fallito un calcio di rigore, quasi fosse scontato che il penalty sia una semplice formalità.

E’ necessaria una grande stabilità interiore per gestire una responsabilità in condizioni ansiogene: effetto pubblico, paura del giudizio generale, paura del giudizio degli altri compagni di squadra compreso l’Allenatore.

Chi calcia mette una maschera per disorientare il portiere, il rigorista deve nascondere le sue intenzioni anche con i gesti e i movimenti del corpo.

Quello fra il giocatore che sta per tirare il rigore e il portiere che si appresta a tentare la parata è infatti uno strano gioco di abilità reciproche, tant’è che, a volte, è difficile stabilire il merito del portiere piuttosto che l’errore del calciatore incaricato della battuta.

La preparazione mentale all’impegno è comunque la base fondamentale di ogni gesto o azione sportiva. I gesti anche più semplici sono determinati da processi psicologici che condizionano gli eventi fisici fino a determinarne il risultato.

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Paura della Solitudine

Autore: Dott.ssa Roberta Michelotto

 

Chi di voi non ha mai provato un senso di solitudine? Chi di voi ha paura della solitudine?

La solitudine è un sentimento intimo, profondo che ci fa sentire separati dagli altri anche quando siamo circondati da tante persone.

È un sentimento che ci può far sentire a disagio, diversi, non capiti, a volte rifiutati.

Comprendere il senso di solitudine che ognuno di noi può provare in particolari momenti della propria vita, richiede una profonda conoscenza di se stessi, vuol dire concedersi del tempo, impegnarsi e predisporsi ad un lavoro di introspezione. Spesso risulta essere una responsabilità verso noi stessi così pesante e gravosa che preferiamo negare di provare quella solitudine che ci tormenta l’anima. La solitudine può far paura.

La solitudine appartiene al nostro mondo interiore, fatto di sentimenti, pensieri, emozioni. Spesso si accompagna all’isolamento quando si sente la necessità di allontanarsi dalle relazioni e quando si limitano i contatti con il mondo esterno.

Ma intrattenere rapporti con gli altri, condividere esperienze ed emozioni, è di vitale importanza proprio per il nostro essere sociale. Ci sentiamo riconosciuti come Persone e apprezzati per quello che facciamo e diciamo, nella varietà e nella qualità di relazioni che riusciamo a stabilire nel tempo.

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