Ma a che serve la psicoterapia? 7 falsi miti della figura dello Psicologo/Psicoterapeuta. Il guru.

Ma a che serve la psicoterapia? 7 falsi miti della figura dello Psicologo/Psicoterapeuta. Il guru.

Autore: Dott.ssa Emanuela De Bellis

vedi Blog dell’Autore

 

Parte I – Il guru

La domanda classica è: “Che differenza c’è tra psicologo, psicoterapeuta e psichiatra?”

A volte viene messo in mezzo anche lo psicanalista.

Chi ha intrapreso un percorso terapeutico (e ne è soddisfatto), lo consiglia a chiunque: “Lo dovrebbero fare tutti”. Chi ha avuto una brutta esperienza, se la prende con tutta la categoria.

scelta-della-scuola-superioreMa in generale, quasi nessuno sa spiegare che cosa fa uno psicoterapeuta: dai collezionisti delle terapie a quelli che non ne vogliono neanche sentir parlare, la confusione sulle competenze del terapeuta continua a essere vasta e articolata, mentre l’informazione rimane sempre più scarsa.

Per tentare di fare un po’ di chiarezza, invece di tentare una definizione tanto esaustiva quanto complessa,  vi propongo una lista di ciò che uno psicologo non è: ruoli e tendenze che gli vengono comunemente attribuiti, ma che, vi assicuro, sono lontanissimi dalla realtà.

E forse, come spesso accade, eliminando le distorsioni di significato, ci avvicineremo alla comprensione della funzione della psicoterapia, della sua utilità.

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Il Disturbo Post-Traumatico da Stress

Autore: Claudia Nissi

articolo dal giornale Psiko-Pratica

 

Gran parte dei protagonisti – loro malgrado – di stragi potrebbero mostrare, dopo aver vissuto questi episodi, i segni di un Disturbo Post Traumatico da Stress (PTSD).Nel DSM-IV il primo criterio (A) per la diagnosi è relativo alle caratteristiche che deve presentare l’evento, mentre i successivi criteri (B, C, D) si riferiscono alle conseguenze che l’evento vissuto potrebbe comportare per il soggetto e come il soggetto rivive il trauma.

    I criteri del Disturbo Post Traumatico da Stress, sono i seguenti:

  1. La persona è stata esposta a un evento traumatico nel quale erano presenti entrambe le caratteristiche seguenti:
  2. La persona ha vissuto, ha assistito o si è confrontata con un evento o con eventi che hanno implicato morte, o minaccia di morte, o gravi lesioni, o una minaccia all’integrità fisica propria o di altri.
  3. La risposta della persona comprendeva paura intensa, sentimenti di impotenza o di orrore.
    Nota: nei bambini questo può essere espresso con comportamento disorganizzato o agitato.
  4. L’evento traumatico viene rivissuto persistentemente in uno (o più) dei seguenti modi:
  5. Ricordi spiacevoli ricorrenti e intrusivi dell’evento, che comprendono immagini, pensieri o percezioni.
    Nota: nei bambini piccoli si possono manifestare giochi ripetitivi in cui vengono espressi temi o aspetti riguardanti il trauma.
  6. Sogni spiacevoli ricorrenti dell’evento.
    Nota: nei bambini possono essere presenti sogni spaventosi senza contenuto riconoscibile.
  7. Agire o sentire come se l’evento traumatico si stesse ripresentando, ciò include sensazioni di: rivivere l’esperienza, illusioni, allucinazioni ed episodi dissociativi di flashback, compresi quelli che si manifestano al risveglio o in stato di intossicazione.
    Nota: nei bambini piccoli possono manifestarsi rappresentazioni ripetitive specifiche del trauma.
  8. Disagio psicologico intenso all’esposizione a fattori scatenanti interni o esterni che simbolizzano o assomigliano a qualche aspetto dell’evento traumatico.
  9. Reattività fisiologica o esposizione a fattori scatenanti interni o esterni che simbolizzano o assomigliano a qualche aspetto dell’evento traumatico.
  10. Evitamento persistente degli stimoli associati con il trauma e attenuazione della reattività generale (non presenti prima del trauma), come indicato da tre (o più) dei seguenti elementi:
  11. Sforzi per evitare pensieri, sensazioni o conversazioni associate con il trauma.
  12. Sforzi per evitare attività, luoghi o persone che evocano ricordi del trauma.
  13. Incapacità di ricordare qualche aspetto importante del trauma.
  14. Riduzione marcata dell’interesse o della partecipazione ad attività significative.
  15. Sentimenti di distacco o di estraneità verso gli altri.
  16. Affettività ridotta (per esempio incapacità di provare sentimenti di amore).
  17. Sentimenti di diminuzione delle prospettive future (per es. aspettarsi di non poter avere una carriera, un matrimonio o dei figli, o una normale durata della vita).

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Quando è sempre troppo tardi. Psicologia del Ritardatario

Quando è sempre troppo tardi. Psicologia del Ritardatario

Autore: Dott.ssa Marzia Cikada

vedi Blog dellìAutore

 

Il ritardo è la forma più pericolosa di rifiuto.
Cyril Northcote Parkinson, La Legge del Ritardo, 1970
 

E’ un mondo che va di fretta, e forse anche per questo è un mondo di ritardatari questo.

Il tempo scandisce le giornate, gli appuntamenti personali come il lavoro. Bisogna fare attenzione, avere a mente orari, promemoria, nodi al fazzoletto e non far aspettare mai. Insomma, il Bianconiglio di Alice che gridava “E’ tardi! E’tardi!” aveva ben compreso il peso del tema. Le persone che arrivano in ritardo sono infatti moltissime. Molte dicono che vorrebbero essere in orario ma proprio non riescono e hanno spesso “scuse” fantastiche e creative, doppie file, incidenti, avventure rocambolesche che hanno impedito che si arrivasse in orario, mondi da salvare etc. Altri confessano si tratti di piccole perdite di tempo, il trucco da sistemare, il parcheggio da trovare, il rito della preparazione all’uscita di casa che ha avuto necessità più lunghe del previsto, del resto, per citare una maglietta “Meglio in ritardo che brutti!”

L’essere sempre in ritardo non fa stare bene affatto. Lo stereotipo del ritardatario è quello di una persona poco interessata agli altri, egoistacapace di pensare solo a se stessa e a come controllare gli altri. Ma non è così facile e lineare, sono in alcuni casi siamo di fronte ad una forma di aggressività passiva che parla attraverso il ritardo e il far aspettare. Chi vive in perenne ritardo accumula anche tanta ansia, frustrazione, poca capacità di avere e vivere una buona autodisciplina capace di far star bene. Si tratta di caratteristiche importanti in tema di benessere psicologico, da non sottovalutare.

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La Depressione Post Partum

Autore: Dott.ssa Giada Barbone

vedi Sito Web glipsicologi.info

 

Secondo la comune opinione, bisognerebbe associare a esperienze quali gravidanza, parto e maternità una connotazione totalmente positiva, poiché foriere di felicità, maturazione e completezza personale; sicuramente tutte queste caratteristiche non sono del tutto escluse dalle suddette esperienze, ma non sono le uniche. Aspettare un figlio significa prepararsi non soltanto a un avvenimento lieto e gioioso, ma anche a nove mesi di gravidanza durante i quali potranno sorgere mille dubbi a proposito delle proprie capacità di donna e futura madre, delle cure e dell’iter medico da seguire, delle eventuali modifiche da apportare allo stile di vita e, ovviamente, riaffioreranno ricordi relativi all’infanzia e al rapporto con la propria madre; inoltre, con l’avvicinarsi al parto, la donna deve affrontare importanti compiti adattativi: accettare dentro di sé il feto, concepirlo come differente e separato psicologicamente e affrontare il distacco fisico. E’ chiaro, quindi, che alla futura madre è richiesto un difficile lavoro psicologico per il quale diventa necessario l’aiuto di persone care, in particolare il partner; quando questo sostegno non viene fornito, quando la donna non è in grado di affrontare le difficoltà del puerperio, quando teme eccessivamente la rottura della simbiosi, quando, nei casi peggiori, vive in condizioni di stress e grave disagio, ecco che può aver origine la cosiddetta “Depressione post partum” o “Depressione postnatale” (PPD o PND).

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Trovare la pace dentro di noi

traduzione di Ileana Sestito

La meditazione funziona con lo stesso potere curativo sui guaritori così come sui loro pazienti.

Una volta era solo un rituale da monastero, oggi la meditazione è diventata mainstream, e alcuni psicologi stanno abbracciando la pratica su diversi livelli. Non solo più psicologi la studiano, e la usano negli interventi, ma in più viene raccomandata ai pazienti una certa pratica con se stessi, come una tecnica di auto-cura. La comprensione di filosofie orientali non è essenziale per la meditazione, anche se può essere utile. Tuttavia, qualcosa è cruciale – un importante cambiamento nella mentalità e nell’ approccio di vita, dice lo psicologo Scott Bishop, che studia gli effetti di una forma di “mindfulness” della meditazione sullo stress presso l’Università Health Network, affiliata con l’Università di Toronto (UT). E la meditazione è più di una tecnica di riduzione dello stress. “E’ un intero effetto di approccio alla gestione”, dice. “E ‘un modo di sviluppare un rapporto diverso con le nostre esperienze di stress e che porta ad influenzare e a pensare che aiuta con tutti gli aspetti della vita”. Promuovere questo diverso tipo di relazione non è facile. Bisogna allenarsi nel controllo del pensiero, seguito da una pratica regolare. Le persone che meditano imparano a stare ferme e svuotare la mente da distrazioni. Alcuni si concentrano su un particolare pensiero, mantra, attività o immagine, come ad esempio le onde dell’oceano. Oppure semplicemente respirano e riposano tranquillamente osservando i loro pensieri. Le tecniche sono diverse, e includono quella contemplativa, e la consapevole e trascendentale meditazione – e anche lo yoga come una forma fisica – ma l’oggetto di fondo è sempre quello di calmare il corpo e la mente. La pratica in corso aiuta le persone a portare gran parte del loro comportamento sotto il controllo cosciente, dice il Professore di Medicina Saki Santorelli, direttore del Center for Mindfulness presso l’Università del Massachusetts Medical Center. “Se osserviamo la nostra esperienza più da vicino, ciò che viene rivelato è che possiamo vedere e capire aspetti della nostra vita in modo chiaro e in altri modi dove prima essenzialmente non riuscivamo a vedere”, spiega. “Con la minfulness [di meditazione], impariamo a sperimentare non giudicando. Questo ci permette di vedere ciò che siamo stati in precedenza quando non riuscivamo a vedere – Ad esempio, le abitudini e i comportamenti che minano la nostra salute e il nostro benessere.”

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