Film (2013): Railway Man – Le due vie del destino

Film (2013): Railway Man – Le due vie del destino

Autore: Dott.ssa Marzia Cikada

vedi Blog dell’Autore

Ciò che logora le nostre anime nel modo più rapido e peggiore possibile è perdonare senza dimenticare.

Arthur Schnitzler

railwayman posterCi sono film che si attendono pensando che siano una cosa e invece non lo sono. Sono quei film che vengono “spinti” sull’onda di una manovra pubblicitaria e invece dovrebbero essere conosciuti per diverse motivazioni. Così, chi sia andato a vedere il film  “The Railway Man” tradotto in italiano con “Le due vie del destino” di Jonathan Teplitzky, pensando di vedere una romantica storia di amore tra due star come Colin Firth e Nicole Kidman, avrà avuta la brutta sorpresa che, di romantico, il film aveva poco ( e quello che c’era è stato anche giocato male, proprio per strizzare l’occhio al pubblico). La storia  che viene raccontata nel film non è una storia d’amore ma un racconto feroce di guerra, morte, dolore e perdono.

Siamo in Inghilterra nel 1980 e uno strano uomo, con la passione entusiasta per i treni,Eric Lomax, si innamora di Patti, conosciuta manco a dirlo in un vagone e, velocemente, sposata. Ma una emozione forte come il matrimonio, innesca una bomba interiore mai disinnescata, il trauma della Guerra vissuta sulla e nella pelle di Eric torna per non dar pace. Si tratta della guerra che nel 1942, a Singapore, aveva tramutato migliaia di soldati inglesi in schiavi per i giapponesi, dopo la resa dichiarata da Winston Churchill. Come prigionieri/schiavi i britannici avevano avuto il compito di costruire una ferrovia che doveva collegare Bangkok a Rangoon, ferrovia chiamata “La Ferrovia della Morte” per le condizioni di lavoro, la difficoltà del progetto, il clima terribile e la crudeltà dei giapponesi.

Eric e i suoi compagni vivono a stenti in condizioni terribili, cercando a loro modo come sopravvivere, fisicamente e psicologicamente. Eric, soprattutto, soffre di una detenzione maggiormente feroce, trovandosi rinchiuso lontano dagli altri e in mano alla poliziaKempeitai, polizia segreta famosa per la violenza e le torture che  metteva in atto. Di quel periodo di dolore e perdita della propria condizione di esseri umani, Eric ricorda più di tutti uno dei suoi carcerieri, un giovane interprete giapponese.

Quando il tormento del passato ritornerà a bussare, Eric deciderà di tornare nella terra che lo aveva reso prigioniero per uccidere l’interprete, che lavora ora come guida “turistica” negli stessi luoghi che per Eric erano stati dolore e morte. Saranno molte le emozioni e i pensieri che lo accompagneranno verso scelte completamente diverse da quelle che pensava di avare fatte. Per tutto il tempo, il desiderio di dignità e di pace interiore si mischiano al bisogno di coerenza a quello che si rappresentava, al voler mantenere vivo il senso di appartenenza ad una parte ma allo stesso tempo un bisogno maggiore di essere umano.

(altro…)

Continua →

Ancorati alle certezze o in movimento?

Autore: Dott. Giovanni Iacoviello

vedi Blog dell’Autore

 

Ma io non la penso così non più / Ho detto che andava bene prima / Ho cambiato la mia mente / L’ho riportata indietro

Dalla traduzione della canzone Erase/Rewind, The Cardigans

Sappiamo quel che è meglio per noi, ciò che fa produrre di più e meglio. Oppure è meglio non saperlo, o dimenticarselo ogni tanto e verificare se c’è un modo diverso o più efficiente di classificare le questioni, l’organizzazione, rispondere alle persone o al mercato?

Riesame periodico e nuove idee per Edward De Bono.

“Riesaminare periodicamente significa osservare di nuovo le cose che sono date per certe, che sembrano al di là di ogni dubbio. Significa mettere in dubbio tutti gli assunti […]. E’ un intenzionale e ingiustificato tentativo di guardare le cose in un modo nuovo, anche se non ce n’è bisogno”. Questa sarebbe una delle ricette per la creazione di nuove idee proposte dallo studioso. Spesso non proviamo a rimettere in discussione le nostre conoscenze e tecniche per pigrizia o per eccessiva fiducia in ciò che ha funzionato in passato. Con un mercato in continuo mutamento però, vale la pena considerare come buona abitudine quella suggerita da De Bono.

  (altro…)

Continua →
°I Peccati Capitali e la Psicologia° 3. Accidia

°I Peccati Capitali e la Psicologia° 3. Accidia

Autore: Dott.ssa Marzia Cikada

vedi Blog dell’Autore

 Non importa se vai avanti piano, l’importante è che non ti fermi
 Confucio

Inizio anno. Abbiamo le energie per iniziare? L’immancabile lista dei Buoni Propositi ci spaventa, ci fa sorridere, sappiamo già che non ne porteremo a compimento nessuno? Proprio perchè, invece, è bene avere un buon modo di guardare al nuovo anno, come possibilità, energia creativa, tempo da riempire senza ingozzarlo ma con moderato entusiasmo e piena soddisfazione, Pollicino ha deciso di affrontare come primo argomento proprio l’accidia, talmente “importante” e gravosa da essere entrata tra i peccati capitali.

Primo punto: di cosa stiamo parlando? Si tratta di una parola che arriva dal greco antico, akēdía, che significa negligenza, mancanza di cure ma anche essere scoraggiati, abbattuti, annoiati, ma non di quel tipo di noia che potremmo chiamare “buono”, bensì un vero e proprio sentimento di prostrazione e stanchezza molto più simili ad unatteggiamento depressivo che si innesca davanti alla vita.

Chi vive “colpevole” di questo peccato, non ha vita facile. Infatti, sebbene ad una vista superficiale possa sembrare uno comodo, che se ne sta tranquillo a far nulla, l’accidioso soffre di una instabile oscillazione continua tra mille progetti che non riesce a portare a termine, con una concentrazione limitata e molta fatica a star dietro alle richieste dell’esterno, vissute come troppo sacrificali e ingiuste. Un accidioso, non riuscirà infatti a portare a termine gli impegni della sua stessa giornata, a perseguire obiettivi ancor meno e tutto suonerà terribilmente instabile e faticoso. In breve si smette di essere padroni non solo di quello che si fa ma anche di quello che non si fa. Cioè, non si sceglie di restare non attivi per ricaricare le forze, trovare una maggiore creatività, ma non si riesce a fare altrimenti. Tutto viene vissuto una prova insormontabile che non si riesce ad affrontare e, per di più, senza valore. Il risultato è di non amare quello che si vive ma, pur desiderandolo, non si riesce ad uscire dall’inerzia, dal vuoto ansioso che tutto divora, restando intrappolati in sé stessi. Proprio questo narcisismo, questo restare in sé stessi, rende l’accidia un peccato capitale per la Chiesa e la fa considerare una malattia dello spirito che si richiude su sé stesso, impossibilitato a fare del bene. Questo rende l’accidia immorale e punibile. Un vizio quindi che ripiega l’uomo sulle proprie necessità, senza entrare in rapporto con l’altro, senza lo slancio a fare del bene o a fare in generale.

(altro…)

Continua →

La costruzione della resilienza tra i ragazzi di colore

una traduzione della Dott.ssa Luana Palermo

dell’articolo “Building resilience among black boys” di Tori De Angelis

tratto dal numero di ottobre 2014 della rivista Monitor on  Psychology.

Gli psicologi stanno aiutando i ragazzi di colore a raccogliere i propri punti di forza, fornendo loro delle strategie per riconoscere e rispondere al razzismo.

Tori De Angelis

L’omicidio di Michael Brown, avvenuto in agosto, è stato l’ultimo di una serie di storie che stanno diventando troppo comuni. Brown, un adolescente nero disarmato di 18 anni, è stato fermato da un poliziotto bianco e ucciso con un arma da fuoco nella sua cittadina natale, Ferguson, in Missouri. La tragedia fa eco a situazioni simili, nelle quali la risposta della polizia ha oltrepassato di gran lunga la causa che ha dato inizio all’episodio, comprese le morti per arma da fuoco di altri ragazzi adolescenti di colore, Trayvon Martin e Jordan Davis avvenute nel 2012, ed incluso un caso storico particolarmente raccapricciante, l’orrendo omicidio, commesso nel 1955, di un ragazzo di 14 anni, Emmett Till, il cui crimine dichiarato era quello di avere una relazione con una donna bianca.

La morte di Brown ha suscitato un’intensa reazione pubblica, che si è espressa sia attraverso dimostrazioni e reazioni violente da parte della gente, che attraverso anche una risposta a livello nazionale da parte dei leader afro-americani e della stampa.

In particolare l’episodio ha messo in luce l’ardua battaglia che devono affrontare i ragazzi di colore in questo paese per fronteggiare gli stereotipi negativi, i profili razziali e la discriminazione, una battaglia che troppo spesso sfocia in violenza e persino in morte.

“I ragazzi afro-americani hanno molti fattori stressanti potenziali, anche rispetto alle ragazze afro-americane” afferma Faye Z. Belgrave, professoressa di psicologia alla Virginia Commonwealth University e co-autrice insieme a Josh Brevard del libro che sta per uscire, “African-American Boys” (Letteralmente: “I ragazzi afro-americani”), sunto di una ricerca condotta su questa popolazione. “Questi ragazzi affrontano il razzismo e la discriminazione in misura molto maggiore rispetto a quanto accada ad altri gruppi etnici razziali. I ragazzi afro-americani subiscono ciò in particolar modo quando, nel percorso di crescita, si avvicinano all’adolescenza”.

In questo momento vi sono dei tentativi atti a modificare tale diffusa situazione negativa e offrire ai ragazzi di colore migliori opportunità di successo. A livello nazionale, l’iniziativa del Presidente Obama “”My Brother’s Keeper” (Letteralmente: “Custode di mio fratello”), lanciata a febbraio, sta affrontando direttamente sia la cattiva pubblicità che questi ragazzi possono ricevere, sia le realtà strutturali, sociali ed economiche con cui devono confrontarsi in questo paese. Il programma, che inizialmente ha goduto di un fondo di circa 200 milioni di Dollari da parte di filantropi e fondazioni, è stato ampliato a luglio con un’aggiunta ulteriore di 104 milioni di Dollari in contributi da parte di distretti scolastici, fondazioni, agenzie e corporazioni.

Gli psicologi stanno mettendo in campo i propri interventi nella maniera più utile possibile, esaminando i modi in cui i genitori, la scuola, le comunità, le istituzioni e la società possano riconoscere e promuovere maggiormente i punti di forza naturali di questi giovani. In particolare essi stanno osservando in quale modo alcuni fattori come gli stili d’insegnamento, gli interventi in classe ed il monitoraggio dei genitori, possano essere utilizzati per condurre questi ragazzi verso percorsi di successo e più salutari per loro.

Inoltre gli psicologi stanno lavorando direttamente con i ragazzi stessi per aiutarli a riconoscere il razzismo e sviluppare la loro identità culturale e razziale per combatterlo in maniera efficace (una strategia conosciuta come “racial socialization”).

Il nostro lavoro si basa su un proverbio africano che dice che la storia del leone non sarà mai conosciuta fintanto che a raccontarla sarà il cacciatore”, afferma Howard Stevenson, psicologo sociale alla University of Pennsylvania, il quale insegna agli educatori ad aiutare i ragazzi di colore a rispondere appunto a situazioni pericolose usando creatività ed umor. “Parte del nostro lavoro è aiutare i ragazzi a raccontare la loro storia, invece che seguire il racconto che parla di loro scritto da qualcun altro”.

(altro…)

Continua →

Libri: “Osho Rajneesh”

Osho Rajneesh (Kuchwada, 11 dicembre 1931 – Pune, 19 gennaio 1990) è stato un mistico e maestro spirituale indiano, che acquisì seguito internazionale. Alla nascita chiamato Chandra Mohan Jain (hindi devanagari: चन्द्र मोहन जैन) – noto anche come Acharya Rajneesh dagli anni Sessanta in poi, e come Bhagwan Shree Rajneesh– negli anni Ottanta adottò il nome di Osho, che deriva dal termine “oceanico” (pronunciato osheanic in inglese). Osho era un professore di filosofia che abbandonò la carriera accademica per girare il mondo propugnando una nuova idea di religiosità. Le sue posizioni anticonformiste suscitarono scalpore e reazioni controverse. Nel 1953, a ventun anni, visse l’esperienza mistica dell’Illuminazione. Iniziò a viaggiare per l’India, a tenere discorsi e a condurre campi di meditazione. Nel 1974 fondò un ashram a Pune che arrivò a ricevere trentamila visitatori l’anno.

Nel 1981 si trasferì in Oregon dove fondò una Comune che finì per collassare, anche a causa di attività illegali commesse, all’insaputa di Osho, dai suoi esponenti di spicco. Nel 1986, duramente osteggiato dal governo statunitense, tornò in India dove le sue condizioni di salute subirono un drastico peggioramento, da lui attribuito, sulla base di apposite analisi mediche, a un avvelenamento subito nelle carceri americane. Morì a Pune a cinquantotto anni. I suoi insegnamenti sincretici enfatizzano l’importanza della meditazione, della consapevolezza, dell’amore, della creatività, dell’umorismo e di una gioiosa celebrazione dell’esistenza, valori che egli riteneva soppressi dai sistemi di credenze imposti dalla società, dalle fedi religiose e dalle ideologie. Osho invitò l’uomo a vivere in armonia e in totale pienezza tutte le dimensioni della vita, sia quelle interiori che quelle esteriori, poiché ogni cosa è sacra e ricolma del divino.

Fautore di una ribellione fondata sul senso critico e sul rifiuto di assumere qualsiasi norma di vita o valore sociale solo perché comunemente accettati, fu un forte oppositore delle religioni organizzate e di ogni tipo di potere. Considerava tutte le tradizioni religiose come superstizioni che reprimono l’uomo e ne ostacolano il cammino che conduce alla verità.[6] Le sue idee ebbero un notevole impatto sul pensiero New Age occidentale (da cui tuttavia egli prese le distanze)[7][8] e sulla controculturaereditata dagli anni sessanta. La sua popolarità ha continuato ad aumentare dopo la sua morte.

leggi intera biografia http://it.wikipedia.org/wiki/Osho_Rajneesh

Continua →